Un recente studio danese ha evidenziato che la diversa presenza percentuale di alcuni tipi batteri intestinali potrebbe essere responsabile di quanto peso siamo in grado di perdere e, soprattutto, in base a quale tipo di regime alimentare. Le generiche "linee guida" dietetiche per tutta la popolazione potrebbero quindi, per alcuni tipi di persone, essere meno efficaci di quanto si potesse immaginare in passato. Recentemente, un nuovo studio del Dipartimento di Nutrizione, Attività FIsica e Sport dell'Università di Copenaghen in Danimarca ha investigato se ed in che misura i microbimi intestinali possano influenzare o meno la capacità di perdere il peso in eccesso durante particolari regimi alimentari. Come spiega il co-autore dello studio Prof. Arne Astrup, "i batteri intestinali umani sono stati correlati alla crescente prevalenza del sovrappeso e dell'obesità e la comunità scientifica ha iniziato a indagare se i batteri intestinali possano svolgere un ruolo nel trattamento del sovrappeso". "Ma è solo ora che abbiamo una svolta che dimostra che alcune specie batteriche svolgono un ruolo decisivo nella regolazione del peso e nella perdita di peso", I risultati di questo studio sono stati pubblicati a settembre 2017 nel Journal of International Obesity . Lo studio ha reclutato 54 partecipanti. Di questi, 31 hanno deciso di seguire la New Nordic Diet, un insieme di linee guida dietetiche nazionali che promuovono il consumo di "frutta, verdura, fibra e cereali integrali". Lo scopo di questa dieta è quello di aiutare a diminuire il peso in eccesso e mantenere un indice di massa corporeo salutare (BMI). Gli altri 23 partecipanti hanno seguito la dieta standard danese, che comprende tipicamente più carni e alimenti trasformati. Tutti i partecipanti hanno seguito le loro rispettive diete per un totale di 26 settimane. Alla fine di questo periodo, le 31 persone della New Nordic Diet avevano perso una media di 3,5 chilogrammi, mentre gli altri 23 (con la dieta standard) avevano avuto una riduzione media di 1,7 chilogrammi. Tuttavia, anche se la New Nordic Diet è risultata essere più efficace nella promozione della perdita di peso rispetto alla dieta comune, i ricercatori hanno anche notato che la composizione del microbiota intestinale svolgeva un ruolo importante nel determinare o meno il calo ponderale. Il Prof. Astrup ed il suo team hanno infatti sottolineato che i partecipanti che avevano un rapporto più elevato tra Prevotella e Bacteroides (due diverse specie di batteri intestinali) evidenziavano una maggiore riduzione di peso seguendo la New Nordic Diet rispetto alle persone che avevano seguito la dieta standard danese. Tuttavia, le persone con un basso rapporto di batteri Prevotella/Bacteroides non mostravano una significativa perdita di peso pur seguendo la New Nordic Diet. I ricercatori inoltre hanno anche notato che circa la metà della popolazione esaminata aveva un più alto rapporto tra Prevotella e Bacteroides. In conclusione, il team di ricercatori, ha evidenziato che solo il 50 per cento della popolazione avrebbe buone probabilità di un calo ponderale seguendo le nuove raccomandazioni alimentari danesi (che consigliano un maggior consumo di frutta, verdura, fibre e cereali integrali), mentre l'altra metà potrebbe non avere benefici significativi in termini ponderali da tale regime dietetico. Il Prof. Hjorth, primo autore dello studio, suggerisce che gli individui che, a causa della composizione del proprio microbiota intestinale, avessero meno probabilità di perdere peso o di rimanere in forma seguendo tali linee guida dietetiche "dovrebbero invece concentrarsi su altri regimi alimentari e sperimentare diverse raccomandazioni sull'attività fisica fino a trovare una soddisfacente strategia dietetica sulla base del proprio particolare metabolismo". Da queste conclusioni si evince che potrebbe essere molto più utile individuare linee guida alimentari "su misura", adattate alle specifiche esigenze individuali, piuttosto che cercare di trovare generiche "ricette universali" adatte a tutta la popolazione. This is a major step forward in personalized nutritional guidance. Guidance based on this knowledge of intestinal bacteria will most likely be more effective than the 'one size fits all' approach that often characterizes dietary recommendations and dietary guidance Secondo uno studio britannico, i bambini che saltano regolarmente la colazione potrebbero non riuscire ad assumere le quantità raccomandate di nutrienti essenziali.
I risultati della ricerca pubblicata on line nel British Journal of Nutrition il 17 agosto (questo l'articolo integrale) hanno infatti evidenziato che nei bambini che saltavano la colazione ogni giorno aumentavano le probabilità di non assumere sufficienti quantità di ferro, calcio, iodio e folati rispetto ai bambini che, al contrario, facevano colazione tutte le mattina. I coautori dello studio, Gerda Pot e Janine Coulthard del Kings College London hanno evidenziato in un'intervista a Reuter Health che "nel gruppo di bambini che consumavano regolarmente la loro prima colazione vi era una percentuale maggiore di soggetti in cui la quantità assunta di nutrienti era pari a quella consigliata rispetto a chi invece saltava la colazione" "Questi risultati suggeriscono che fare regolarmente la colazione potrebbe svolgere un ruolo importante nel garantire che un bambino assuma le quantità raccomandate di questi micronutrienti chiave", sostengono Pot e Coulthard. Sebbene i bambini più grandi avessero più probabilità di saltare la prima colazione, la mancanza nutrizionale giornaliera era tuttavia più marcata nel gruppo dei bambini più piccoli che saltavano la colazione quotidiana. "La ricerca ha indicato che anche se nei gruppi di bambini tra i 4 e i 10 anni vi era una maggior propensione a fare la colazione rispetto al gruppo di soggetti tra gli 11 e i 18 anni, le carenze maggiori nell'assunzione di micronutrienti sono state osservate proprio nel gruppo di età più giovane quando si confrontavano i giorni in cui gli stessi bimbi facevano la colazione rispetto ai giorni in cui al contrario non assumevano alcun alimento alla mattina. Per questo motivo, può quindi essere particolarmente importante assicurare che i bambini compresi nella fascia di età di questo gruppo più giovane (4-10 anni) mangino regolarmente una sana colazione, sia a casa che nelle mense scolastiche". I ricercatori hanno esaminato i diari alimentari di quattro giorni per quasi 1.700 bambini di età compresa tra 4 e 18 anni. Le informazioni sono state raccolte da un'indagine annuale nazionale sulla dieta e sull'alimentazione tra il 2008 e il 2012. La "colazione" era definita come l'assunzione di più di 100 calorie tra le 6 e le 9 del mattino. Nel complesso, circa il 31% dei bambini faceva la prima colazione ogni giorno, il 17% non consumava mai la prima colazione e il rimanente 52% mangiava solo alcune mattine, mentre saltava la colazione in altri giorni. In quest'ultimo gruppo, i ricercatori hanno anche confrontato le differenze nell'assunzione di nutrienti da parte dello stesso bambino nei diversi giorni. Il team ha evidenziato che il 6,5% dei bambini di età compresa tra 4 e 10 anni saltava la prima colazione ogni giorno, rispetto al quasi 27% dei ragazzi tra gli 11 e i 18 anni. Le ragazze avevano più probabilità di saltare la prima colazione rispetto ai ragazzi, mentre il reddito familiare tendeva ad essere più alto nelle famiglie dei bambini che facevano colazione ogni giorno. Più del 30% dei bambini che saltavano la colazione non aveva assunto abbastanza ferro durante il giorno, rispetto a meno del 5% dei bambini che al contrario avevano fatto la prima colazione. Circa il 20% dei bambini che saltavano la colazione avevano bassi livelli di calcio e iodio, rispetto a circa il 3% dei bambini che mangiavano a colazione. Circa il 7% dei bambini che saltavano la colazione aveva inoltre valori di folati più bassi rispetto a nessuno nei gruppi che facevano la colazione. I ricercatori hanno anche evidenziato che nei bambini che saltavano la colazione vi era un aumento dell'assunzione di grassi. I bambini che non mangiavano al mattino non sembravano inoltre compensare la mancanza della colazione assumendo più calorie più tardi durante il giorno. Infatti, i bambini che non facevano la prima colazione assumevano lo stesso numero o meno calorie totali dei bambini che al contrario mangiavano al mattino ogni giorno. Pot e Coulthard hanno inoltre evidenziato che assicurare che i bambini abbiano la prima colazione sembra essere più difficile nel gruppo di età più elevata, probabilmente per la minor propensione alla supervisione dei genitori. "Una tattica sarebbe quella di coinvolgere i bambini nella preparazione della colazione, magari predisponendo qualcosa la sera prima quando ad esempio il tempo a disposizione al mattino fosse troppo poco". Gli autori hanno infine suggerito che nei social media si possono recuperare facilmente idee con ricette sane, semplici e gustose tra le quali far sceglieri la colazione ai bambini, aggiungendo che postare la foto delle loro "creazioni" on line potrebbe essere un ulteriore modo per coinvolgere i ragazzi nel costruire la buona abitudine della colazione mattutina. Buona VIta! :) Fonte: Reuters Se sei in cerca di buone notizie, questa è davvero una buona notizia.
Sembra infatti che secondo i risultati di un recente studio si possano salvare le vite di migliaia di neonati ogni anno grazie ad una specifica miscela di batteri "buoni" ad un costo decisamente abbordabile. Il team di ricercatori dell'Università del Nebraska Medical Center College of Public Health ha infatti determinato che un semplice cocktail simbiotico - la combinazione di Lactobacillus plantarum, un probiotico, insieme ad un fruttooligosaccaride, prebiotico - può aiutare a prevenire casi di sepsi (a volte mortali) e diminuire le infezioni delle vie respiratorie inferiori nei neonati. Secondo i risultati della sperimentazione clinica pubblicata il 16 agosto sulla prestigiosa rivista Nature, una combinazione di L. Plantarum e FOS è stata capace di ridurre la sepsi nei neonati del 40 per cento a un costo di circa $ 1 per neonato. I risultati riflettono il risultato di 15 anni di ricerca che ha coinvolto oltre 4.000 bambini negli Stati Uniti e in India e che potrebbero avere un notevole impatto sulla salute infantile in tutto il mondo. La sepsi è una malattia sistemica generata da una elevata risposta infiammatoria dell'organismo in seguito al passaggio nel sangue di microrganismi patogeni provenienti da un focolaio sepsigeno che può danneggiare organi vitali e condurre fino alla morte. E' un'infezione che si manifesta in modo molto rapido e con una certa frequenza specialmente nei paesi in via di sviluppo. Nel mondo più di 600.000 bambini muoiono di infezioni del sangue ogni anno. La miscela speciale utilizzata nello studio comprendeva un probiotico chiamato Lactobacillus plantarum ATCC-202195 combinato con fruttooligosaccaride (FOS), una preparazione simbiotica orale sviluppata dal dott. Panigrahi, professore, epidemiologo e pediatria dell'Università del Nebraska. Come sottolineato in altre occasioni in questo blog, i probiotici, batteri vivi e lieviti sono indispensabili per la nostra salute, in particolare per il sistema gastroenterico. I simbiotici sono combinazioni di probiotici con un supplemento di FOS, sostanze in grado di promuove la crescita dei batteri "buoni" e sostenere la colonizzazione del ceppo probiotico. I FOS, sono anche naturalmente presenti nel latte materno e in molti vegetali come la cipolla, la cicoria, l'aglio, l'asparago, la banana, i carciofi e altri che rappresentano il "nutrimento" per i batteri probiotici. "Questo è il più grande studio clinico sui probiotici nei neonati finanziato dai National Institutes of Health", ha detto il dottor Panigrahi. Dopo l'osservazione dei risultati di uno studio pilota effettuato nel 2008 che evidenziava una consistente colonizzazione di L. plantarum nell'intestino dei neonati data dal cocktail sinbiotico nei primi tre giorni di via, il team di Panigrahi ha arruolato oltre 4.500 neonati provenienti da 149 villaggi della provincia indiana di Odisha e li ha seguiti per i primi 60 giorni di vita, il periodo più critico per l'insorgere di infezioni septiche. Durante i primi giorni di vita, ai neonati veniva somministrata la miscela orale simbiotica per sette giorni. Il razionale era quello di aiutare la colonizzazione dell'intestino da parte di batteri non patogeni e commensali per creare un sistema immunitario ottimale che proteggesse in modo più efficace i neonati nei primi mesi di vita. I risultati dello studio randomizzato, condotto in doppio cieco e controllato con placebo hanno mostrato che nei neonati in cui veniva somministrato il cocktail simbiotico la sepsi e la morte nei primi due mesi di vita venivano ridotti del 40 per cento, più del doppio della riduzione che i ricercatori si attendevano, stimata inizialmente al 20 per cento. Non solo, il trattamento simbiotico ha anche evidenziato una riduzione delle infezioni delle vie respiratorie L'efficacia riscontrata dalla miscela simbiotica nello studio del Dott. Panigrahi è stata così elevata che lo studio è stato interrotto prima del previsto. Questi risultati portano a concludere che la formula probiotico/prebiotico utilizzata potrebbe essere presto adottata su larga scala come una sorta di "vaccino orale per la sepsi molto conveniente", così come sostenuto dallo stesso dottor Panigrahi. Un "vaccino" peraltro molto sicuro dato che la miscela orale è risultata essere ben tollerata, con solo un episodio avverso gastrointestinale riportato nello studio. Considerando i risultati di questo studio, restano aperte ancora un paio di ulteriori e interessanti domande, ovvero se anche i neonati "prematuri" possano beneficiare di questo tipo di trattamento e se l'allattamento, insieme al simbiotico, possa svolgere un ruolo complementare e sinergico nella prevenzione delle infezioni. Per Panigrahi, l'obiettivo finale non è infatti solo la prevenzione della sepsi, ma la prevenzione di tutti i tipi di malattie con i probiotici, in particolare nel contesto del crescente problema della resistenza agli antibiotici e dell'aumento dei disturbi infiammatori in tutto il mondo. Indubbiamente questo studio rappresenta un altro passo fondamentale nella comprensione dell'utilizzo dei probiotici e del ruolo del microbiota per la prevenzione e la salute del nostro organismo. Buona Vita! P.S. Le conclusioni dello studio citato sono frutto di una sperimentazione effettuata in ambito ospedaliero e sotto lo stretto controllo di un team di medici. L'utilizzo di probiotici e prebiotici nei bambini va sempre effettuato in base alle indicazioni e dopo attenta valutazione individuale del proprio pediatra. P. Panigrahi et al., “A randomized synbiotic trial to prevent sepsis among infants in rural India,” Nature, doi:10.1038/nature23480, 2017. Da qualche tempo osservo con interesse e sempre maggiore attenzione lo sviluppo della letteratura scientifica inerente al ruolo del microbiota intestinale in relazione al nostro benessere. Negli ultimi 2-3 anni il numero di studi scientifici su probiotici e microbiota è cresciuto in modo consistente così come l'attenzione da parte di medici, microbiologi e scienziati su questi argomenti. Attualmente, in Italia non sono molti i siti o i blog che trattano di questo argomento, anche se da qualche tempo sono apparsi i primi portali specifici sull'argomento come l'interessante Microbioma.it, che raccoglie le ultime novità in tema di pubblicazioni sui microbi del nostro organismo. Per il resto, la maggior parte dei riferimenti scientifici in rete è in inglese. Così, ho pensato di utilizzare il mio blog per riproporre in italiano alcuni degli articoli più interessanti che ho avuto occasione di trovare su altri siti di divulgazione scientifica, in modo di permettere a chi non abbia sufficiente familiarità con l'inglese di approfondire con più facilità questo argomento. Per questo primo "esperimento" ho scelto un interessante articolo pubblicato su "Gut Microbiota Health" (uno dei siti americani più conosciuti e approfonditi su questo tema) il cui titolo originale è "Will gut microbiota provide the solution to all of our health problems?", pubblicato on line il 28 giugno 2017 a firma di Patrice D. Cani, ricercatore del Fondo Belga per la Ricerca Scientifica (FRS-FNRS), responsabile del gruppo di ricerca del metabolismo e della nutrizione presso il Drug Research Institute di Lovanio (LDRI) della Università Cattolica di Louvain (UCL), Bruxelles, Belgio, e ricercatore del WELBIO (Wallon Excellence in Lifesciences e biotecnologie). Buona lettura! Sarà il microbiota intestinale la soluzione a tutti i nostri problemi di salute? "Le condizioni che comprendono alcune delle principali cause di mortalità in tutto il mondo - incluso obesità, diabete, malattie cardiovascolari finanche i tumori- sono collegate con le alterazioni osservabili nel microbiota intestinale umano. Allo stesso modo, molte altre condizioni croniche, come le malattie infiammatorie intestinali, asma e allergie, artrite reumatoide, e persino l’encefalomielite mialgica (meglio conosciuto come "sindrome da stanchezza cronica"), sono stati collegati con situazioni di disbiosi (disequilibrio) della flora intestinale. Gli scienziati e l'opinione pubblica hanno dimostrato grande interesse per queste intriganti connessioni. Sembra infatti che la flora intestinale, con le sue strette relazioni con i processi metabolici ed il sistema immunitario potrebbe potenzialmente essere il cardine per un buono stato di salute, venendosi a trovare sostanzialmente all'“intersezione” dei vai processi che nel nostro corpo possono influenzare il rischio di malattie. In realtà, il mio lavoro (è Patrice D. Cani che scrive - ndr) si concentra sulla comprensione di come la flora intestinale influenzi il metabolismo e l'immunità in modo tale da determinare in modo significativamente positivo un ampio ventaglio di parametri basilari per la salute, in particolare nei riguardi di obesità e diabete di tipo 2. Senza dubbio, il potenziale dell’intervento diretto sul microbiota intestinale per migliorare la salute umana è molto grande, tanto che a questo punto potremmo chiederci: “il microbiota intestinale è destinato ad essere la soluzione a tutti i nostri problemi di salute?" Nel mio recente commento pubblicato in Nature Reviews Gastroenteroly and Hepatology, ho sollevato la questione su ciò che dovremmo aspettarci per il futuro sul tema scientifico della flora intestinale. Con più di 3000 articoli scientifici sul microbiota pubblicati nel 2016, abbiamo ottenuto una quantità di dati come mai in passato. Eppure, abbiamo la necessità di essere ancora più sicuri che ci stiamo muovendo nella giusta direzione. La distinzione tra correlazione e causalità è della massima importanza quando si tratta di flora intestinale. Una volta che una correlazione tra la malattia e la disbiosi intestinale è stata stabilita, i ricercatori hanno bisogno di intraprendere sperimentazioni ben progettate (comprese quelle in modelli animali) per capire “cosa” sta causando “cosa”. Da quel punto in poi, potremo essere in grado di sviluppare nuove terapie per affrontare la causa principale di una malattia. Un altro ostacolo per procedere con certezza sono i limitati dati (nonostante l’ampia produzione di letteratura scientifica degli ultimi anni) che attualmente abbiamo a disposizione. La maggior parte degli studi pubblicati fino ad oggi ha preso in esame un campione del microbiota intestinale in un determinato punto nel tempo. In pratica è stata fatta una singola “istantanea”. Si può dunque facilmente comprendere come una singola “istantanea” non sia sufficiente per determinare come dovremo modificare il microbiota, al fine di migliorare positivamente il nostro stato di salute. La medicina ha molti esempi che evidenziano come una diagnosi non può spesso essere basata su una “singola” analisi; piuttosto, la corretta raccolta di diverse misurazioni deve essere effettuata nei tempi più corretti e quindi interpretata nel suo insieme. Per poter utilizzare il microbiota per migliorare la capacità di diagnosi ed il trattamento delle malattie che conosciamo, ci sarà probabilmente bisogno di prendere in considerazione non solo i microbi intestinali, ma anche gli stessi metaboliti, i fattori genetici, lo stato nutrizionale e le abitudini alimentari del soggetto preso in esame. Inoltre, abbiamo bisogno di sapere quando e quanto spesso dovremo misurare questi fattori. Ci stiamo muovendo in avanti passo dopo passo nella comprensione del ruolo del microbiota intestinale in diverse malattie. Nei futuri decenni, alcune delle correlazioni che vediamo oggi diverranno probabilmente utili per nuove terapie e altre sfortunatamente no. Il microbiota è costantemente influenzato da molti fattori - di cui, il più importante e controllabile è l’alimentazione - e nel corso del tempo potremo capire come ottenere un 'ideale' microbiota intestinale e come puntare a renderlo tale agendo sulla dieta e su altri fattori inerenti lo stile di vita o anche somministrando nuovi trattamenti medici che avranno come bersaglio la comunità microbica intestinale. Quindi, anche se potrebbe essere vero che il microbiota intestinale è al “all'intersezione di tutto”, non possiamo lasciarci andare a facili entusiasmi sulla base dei dati attuali. Dobbiamo dare a queste complesse interazioni il tempo di essere sviscerate così da poter giungere ad una comprensione più profonda del microbiota intestinale sia in salute che in malattia. Insomma, c'è molto da scoprire, ma i futuri anni potrebbero aprire a nuove opportunità teraputiche un tempo difficilmente immaginabili. Sono sempre più frequenti le ricerche che mirano a comprendere in modo approfondito il ruolo della flora intestinale per il benessere dell'organismo umano. Un recente studio pubblicato in anteprima on line sull'American Journal of Physiology- Gastrointestinal and Liver Phisiology ha messo in evidenzia che prolungati periodi di stress fisiologico possono modificare la composizione dei microgranismi che risiedono nell'intestino (microbiota intestinale), aumentando i rischi per la salute negli atleti di sport di resistenza e nel personale militare. Lo studio è la prima ricerca clinica a studiare la risposta del microbiota intestinale durante l'addestramento militare. Un intestino sano è una barriera semipermeabile e agisce come una difesa del nostro organismo sia filtrando i nutrienti, permettendone il passaggio dal lume intestinale al circolo sanguigno, sia mantenendo i batteri ed altre sostanze potenzialmente nocive all'interno dell'intestino stesso. Lo stress fisico può alterare la permeabilità intestinale aumentandone il rischio di infiammazione, malattie e sintomi quali la diarrea. Nello studio in questione, i ricercatori hanno preso in esame un gruppo di 73 soldati dell'esercito norvegese che ha partecipato ad un'esercitazione militare di sci di fondo. Per oltre quattro giorni, il gruppo di militari ha percorso sugli sci circa 51 km trasportando sulle spalle zaini del peso di circa 45 kg. I ricercatori hanno raccolto campioni di sangue e di feci prima e dopo l'esercitazione. I soldati sono stati inoltre sottoposti ad un esame delle urine 24 ore prima dell'addestramento e successivamente al terzo giorno di esercitazione. Prima di ogni test, ai soldati veniva data da bere una soluzione di acqua mescolata con sucralosio, un dolcificante artificiale e mannitolo, un alcool-zucchero. Il sucralosio non viene metabolizzato dal corpo umano durante la digestione. La grande maggioranza del sucralosio ingerito non è infatti assorbita e passa immodificata attraverso l'apparato digerente. Le minime percentuali di sucralosio che sono assorbite dall'organismo sono rapidamente eliminate nelle urine come sucralosio stesso. Per tale motivo i livelli di sucralosio escreto sono comunemente usati come marker della permeabilità intestinale (PI). Le analisi effettuate dai ricercatori hanno evidenziato che il microbiota e la composizione delle sostanze prodotte durante il metabolismo (metaboliti) nel sangue e nelle feci dei soldati è cambiato significativamente alla fine dell'intenso periodo di esercitazioni. L'escrezione di sucralosio è inoltre considerevolmente aumentata, evidenziando un aumento della permeabilità intestinale. Durante il periodo di addestramento, le concentrazioni di diverse sostanze prodotte dal metabolismo batterico di aminoacidi e grassi risultavano diminuite nelle feci, così come erano presenti alterazioni significative in più della metà dei diversi metaboliti presenti nel sangue dei volontari. Le variazioni della permeabilità intestinale sono state associate sia con la modificazione dello stato infiammatorio, sia con l'alterazione della composizione del microbiota intestinale prima dell'allenamento sia con i cambiamenti in diversi metaboliti probabilmente derivati dal microbiota. “(Precedenti) studi sull'uomo hanno dimostrato che i cambiamenti radicali nella dieta influenzano la composizione del microbiota intestinale alterando la disponibilità dei substrati metabolici per i microbi intestinali. I nostri risultati contrastano con tali affermazioni dimostrando che le alterazioni nella composizione del microbiota molto probabilmente non possono essere riconducibili esclusivamente alle modificazioni della alimentazione e che tali cambiamenti sono stati molto più marcati di quanto comunemente riportato negli studi relativi alla dieta“, hanno affermato i ricercatori. Il microbiota intestinale sembra dunque essere un fattore fondamentale nella risposta dell'intestino allo stress fisico. “I nostri risultati suggeriscono che il microbiota intestinale potrebbe essere uno dei mediatori chiave della modificazione della permeabilità intestinale a importanti stress fisiologici e che agire selettivamente sul microbiota prima dell'esposizione allo stress possa fornire nuove strategie per il mantenimento della permeabilità intestinale stessa” hanno concluso i ricercatori. I dati emersi in questo studio evidenziano quanto lo stress fisico sia in grado di alterare la composizione e l'equilibrio della flora intestinale e di conseguenza alterare in modo significativo il nostro benessere. In modo particolare, i risultati della ricerca appaiono molto interessanti nell'ottica di un maggior controllo dello stato di salute per tutte quelle categorie di persone che si sottopongono a impegni fisici prolungati e molto impegnativi, quali atleti di endurance (maratoneti, triatleti, ciclisti...) e personale militare durante esercitazioni o missioni di guerra. Come poter agire selettivamente sul microbiota di queste persone al fine di preservarne integrità e funzionalità durante periodi di forte stress fisico potrebbe dunque essere uno dei campi più interessanti di investigazione della ricerca clinica del prossimo futuro. Buona Vita!!! Fonte: American Physiological Society (APS) 5 cose da sapere sui fermenti lattici (e perché non sarebbe corretto definirli “fermenti lattici”)17/5/2017 E’ molto probabile che, in seguito ad un episodio di disturbi gastrointestinali, il vostro medico o il vostro farmacista vi abbia consigliato l’assunzione di “fermenti lattici” per aiutare il vostro organismo a recuperare uno stato di salute ottimale. Ma cosa sono davvero i “fermenti lattici” e perché il loro utilizzo viene sempre più consigliato per mantenere un corretto equilibrio della nostra flora intestinale? In questo articolo proviamo a dare alcune risposte, evidenziando quali siano le 5 cose fondamentali da ricordare a proposito di fermenti lattici.
Questi fermenti sono largamente utilizzati da secoli in varie culture per la produzione di bevande o di latte fermentato (ad esempio, lo yogurt). Tuttavia, va rilevato che la trasformazione del lattosio può essere operata da diversi ceppi di batteri, ma solo alcuni di questi possono eseguire processi realmente utili e benefici per l’uomo: i fermenti lattici “probiotici”. Più precisamente, il termine “probiotico” deve essere riservato ai microrganismi viventi che hanno dimostrato, negli studi umani controllati, di avere effetti benefici sulla salute. In buona sostanza, con il termine “fermenti lattici” dovremmo considerare solo quegli organismi che aggiungiamo al latte per “fermentarlo” in yogurt (che non hanno dunque particolari benefici salutistici), mentre in tutti quei casi in cui assumiamo un integratore per contrastare una diarrea o per ripristinare l’equilibrio della flora intestinale è più corretto usare il termini “probiotico”.
Il microbiota è peculiare per ogni individuo e rappresenta una sorta di “impronta digitale batterica” che dipende da età, area geografica di provenienza, dieta ed etnia. Le funzioni della flora batterica intestinale sono molteplici e riguardano sinteticamente l’azione di antagonismo alla proliferazione di microorganismi nocivi nel tratto gastrointestinale, la stimolazione del sistema immunitario e il completamento dei processi digestivi. Quando si crea un’alterazione quantitativa o qualitativa del microbiota locale si ha una drastica riduzione della biodiversità dei batteri a scapito delle specie benefiche e un aumento relativo dei microrganismi patogeni. Questa alterazione viene definita “disbiosi intesinale”. La disbiosi intestinale può essere acuta o cronica: la disbiosi acuta si scatena in modo improvviso, come accade ad esempio nelle diarree conseguenti ad antibiotico terapia, mentre la disbiosi cronica si instaura nel tempo e si associa a patologie a carico anche di apparati diversi da quello gastrointestinale, alterazioni del metabolismo, infiammazione cellulare e alterazioni del sistema immunitario.
Un probiotico per essere definito tale deve dunque avere alcune caratteristiche fondamentali: deve essere costituito da ceppi vivi, ben definiti e correttamente identificabili; deve possedere un’adeguata capacità di adesione alla mucosa intestinale in quantità ottimale; deve garantire stabilità e sicurezza; deve essere compatibile con l’organismo umano; deve apportare benefici all’ospite; deve assicurare elevate caratteristiche tecnologiche di conservazione per preservare la vitalità dei ceppi. 4. Un probiotico vale l'altro? Nonostante ci siano svariate evidenze scientifiche che confermano che l’assunzione di probiotici possa essere di beneficio alla salute nell’uomo, questa evidenza è fondata e rilevante solamente per le forme specifiche che sono state utilizzate nei singoli studi clinici e non è dunque una affermazione che può essere considerata valida per tutti i probiotici in commercio. Gli effetti descritti nei risultati degli studi devono infatti essere attribuiti solo al ceppo o ai ceppi testati (e relativi dosaggi) e non possono di conseguenza essere utilizzati come evidenza per supportare gli effetti benefici presunti di altri ceppi non utilizzati negli studi clinici. A tal proposito, va anche sottolineato che non è possibile stabilire un dosaggio generale ed univoco per tutti i probiotici; il dosaggio più corretto deve essere determinato basandosi sulla specificità dei ceppi e sui risultati clinici ottenuti negli studi che hanno dimostrato effetti benefici sulla salute. In questo senso, il consiglio di un operatore sanitario competente rappresenta la soluzione più corretta per ottimizzare l’utilizzo dei probiotici. 5. In quali condizioni i probiotici possono essere impiegati? Allo stato attuale, ci sono buone evidenze cliniche che dimostrano l’utilità dei probiotici nel trattamento e nella prevenzione delle diarree acute, in particolare in quelle di tipo virale ed indotte dall’uso di antibiotici. Da varie metanalisi, si è inoltre visto che l’uso dei probiotici è associato ad un miglioramento complessivo dei sintomi della sindrome dell’intestino irritabile (dolore addominale, alterazione dell’alvo, gonfiore e flatulenza). Rimanendo in ambito gastrointestinale, la letteratura suggerisce ancora che alcuni probiotici possono essere di supporto come terapia adiuvante agli antibiotici nella eradicazione dell’infezione da H. pylori, responsabile di molte gastriti. L’uso dei probiotici ha inoltre dimostrato benefici anche al di fuori di sintomatologie a carico dell’apparato intestinale. Vi sono infatti buoni risultati che evidenziano un effetto positivo rispetto al placebo nella riduzione del numero di episodi di infezioni acute delle vie respiratorie superiori e la loro durata media. Anche nell’ambito delle allergie, si registrano buone evidenze scientifiche nella prevenzione delle dermatiti atopiche e dell’eczema, anche se una chiara indicazione d’uso dovrà essere prioritariamente supportata da una maggiore omogeneità degli studi analizzati. Un crescente numero di ricerche cliniche sta evidenziando legami importanti tra l’equilibrio della flora intestinale ed il benessere del nostro organismo in diversi ambiti. E’ bene pertanto non sottovalutare l’importanza di questi integratori poiché le potenzialità benefiche di questi microorganismi rappresentano già ora uno dei settori più promettenti e dinamici della ricerca medica del futuro. Questo articolo è stato pubblicato sul numero di Maggio/Giugno di Portogruaro.Net per la rubrica "Stiamo in salute"
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