Francesco Fratto | Lifestyle Trainer
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5 strategie alimentari per contrastare l'ansia

22/2/2021

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Intestino e cervello sono strettamente interconnessi. 

Frasi come “ho le farfalle nello stomaco”, “ho un peso sullo stomaco” o “ho agito di pancia” non sono solo delle espressioni figurative per esprimere un'emozione o un’azione, ma rappresentano un sentire popolare che oggi la scienza ha chiarito in modo concreto.

La correlazione tra emozioni e intestino è infatti ormai ben descritta in medicina.

Ciò che proviamo nella nostra mente influenza in modo diretto il nostro intestino e viceversa.

Chi soffre ad esempio di Sindrome del Colon Irritabile sa che molto spesso uno stato emotivo di agitazione o di ansia è in grado di scatenare un attacco di diarrea acuta o di acuire i propri disturbi intestinali.

Spesso accade che la sovrastimolazione dell’apparato gastrointestinale e i conseguenti sintomi che ne derivano (diarrea, crampi, gonfiore….) conducano ad una ulteriore stato di agitazione per la persona che ne soffre innescando così una pericolosa spirale da cui non è per niente facile uscire.
In particolar modo, in questo ultimo anno, vivendo una situazione di tensione come quella innescata dalla pandemia di Covid, stanno aumentando i casi di ansia e di conseguenza anche le difficoltà a livello intestinale.

La gestione dell’ansia comprende diversi trattamenti, dai farmaci ad alcuni rimedi naturali, dalla psicoterapia alla meditazione.

Recentemente, è stato pubblicato in Frontiers in Psychiarty un articolo scientifico in cui, evidenziando che i farmaci e la psicoterapia spesso non riescono a raggiungere la completa risoluzione dei sintomi, si suggerisce di considerare anche un approccio complementare alla cura dei sintomi attraverso interventi nutrizionali.

Questo approccio, ancora in via di sviluppo e  definito “psichiatria nutrizionale” è indubbiamente molto affascinante. 
Nei miei studi fatti sulla prevenzione delle malattie e sugli stili di vita, ho spesso potuto apprezzare quanto un’alimentazione corretta permetta di influire in modo marcato sul benessere dell’organismo.

Purtroppo, di quanto lo stile di vita, alimentazione in primis, impattino nel nostro benessere se ne parla ancora troppo poco, mentre ritengo sarebbe opportuno inserire dei concetti basi già nelle scuole per aiutare le future generazioni a curare la propria salute.

Lo stile di vita moderno è indubbiamente sempre più ricco di comfort per il corpo, ma decisamente sempre più sfidante per la nostra salute mentale.

I disturbi d'ansia sono tra le condizioni psichiatriche più diffuse nei paesi occidentali, con un terzo degli individui che soffrono di qualche forma di ansia durante la loro vita. ​
I farmaci standard di cura e la psicoterapia hanno tuttavia un successo nel trattamento di circa la metà dei pazienti e solo un quarto sperimenta una completa risoluzione del problema (con un tasso di fallimento coerente con l’ampio fallimento dei trattamenti farmacologici per la maggior parte delle condizioni neurologiche).

Quando si cerca di correggere un disturbo d’ansia è bene quindi non dimenticare il ruolo complementare dell’alimentazione e di uno stile di vita adeguato in grado di influire positivamente sulla nostra salute generale dal momento che intestino e cervello sono strettamente interconnessi.


Vediamo allora le 5 strategie alimentari proposte dai ricercatori Nicholas G. Norwitz del Dipartimento di Fisiologia, Anatomia e Genetica dell’Università di Oxford e Uma Naidoo del Dipartimento di Nutrizione e Psichiatria dello Stile di Vita del Massachusetts General Hospital di Boston, entrambi docenti della Harvard Medical School di Boston per contrastare i disturbi d’ansia attraverso l’alimentazione.
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1. Evita i dolcificanti artificiali

L’utilizzo di dolcificanti artificiali in alcuni studi è stato associato a disturbi del benessere mentale, inclusa l'ansia. 

Inoltre, è stato suggerito che gli individui che soffrono di disturbi mentali possano essere particolarmente suscettibili agli effetti negativi dei dolcificanti artificiali. 

Ad esempio, uno studio crossover randomizzato, controllato con placebo, progettato per valutare l'impatto dell'aspartame sull'umore è stato interrotto prematuramente a causa della gravità delle reazioni in pazienti con una storia di depressione, che è una condizione spesso presente insieme all'ansia.

Al momento, gli studi sono limitati su una ristretta gamma di dolcificanti (in particolare l'aspartame che è un dolcificante molto usato in snack e bevande a basso contenuto di zuccheri). 

Nell’articolo, gli studiosi suggeriscono come alterntive per le persone che non vogliono rinunciare agli edulcoranti, l’utlizzo della stevia (un dolcificante naturale non calorico che non altera la risposta insulinica) e l'eritritolo (un alcol zuccherino non insulinogenico che viene assorbito nell'intestino tenue e non viene fermentato dai batteri intestinali) 

Tuttavia, in altri studi (probabilmente pubblicati in contemporanea con la review in questione) 
si è evidenziato che la somministrazione di stevia ha mostrato un impatto negativo sul microbiota intestinale, con alterazione della composizione oltre che del metabolismo.

In attesa di ulteriori approfondimenti sull’effetto dei dolcificanti nell’ansia, l'approccio più conservativo nel disturbo d’ansia è ancora la completa eliminazione di zucchero semplici e dolcificanti dalla dieta.

2. Riduci il glutine nella dieta

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Il glutine può indurre l'infiammazione provocando maggiore "permeabilità intestinale". 

Le proteine ​​del glutine aumentano infatti l'espressione della zonulina, una proteina che aumenta la permeabilità intestinale. 

Questa condizione provoca la fuoriuscita dall’intestino verso il flusso sanguigno di composti immunostimolanti, come l'LPS (o lipopolisaccaride , uno dei componenti della membrana cellulare esterna dei batteri Gram-negativi) portando all'infiammazione “silente” (ovvero una infiammazione subcronica dei tessuti).

Negli studi fin qui effettuati si è visto che nei pazienti ansiosi senza storia segnalata di disturbi gastrointestinali, vi sono elevati livelli nel sangue di zonulina e LPS rispetto ai soggetti di controllo non ansiosi. 

Questa osservazione è coerente con l'ipotesi che il glutine possa condurre a stati di infiammazione e ansia a causa di un aumento della della "permeabilità intestinale", suggerendo che i pazienti con ansia possono essere particolarmente sensibili al glutine.

Allo stato attuale,  le evidenze che dimostrino che una dieta priva di glutine sia in grado di diminuire l'ansia sono riferite solamente nei pazienti celiaci

Tuttavia, i due ricercatori ritengono ragionevole includere una dieta priva di glutine nell'arsenale dei potenziali trattamenti metabolici per l'ansia.
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3. Aumenta il consumo di grassi Omega-3

Gli acidi grassi omega-3, in particolare gli omega-3 a catena lunga, l'acido eicosapentaenoico (EPA) e l'acido docosaesaenoico (DHA), sono potenti molecole di segnalazione antinfiammatorie che supportano il microbioma intestinale e rivestono un ruolo importante nei processi cognitivi e nella salute mentale.

Negli studi sugli animali, i ricercatori hanno evidenziato che i meccanismi con cui gli omega-3 aiutano ad affrontare le basi metaboliche dell'ansia sono molteplici, probabilmente  dovute al miglioramento dell'equilibrio del microbioma, la diminuzione dell'infiammazione e il bilanciamento della chimica tra neuromediatori.

Negli esseri umani, si è visto che nei pazienti con disturbo d'ansia, i livelli di EPA e DHA nelle cellule erano ridotti del 18-34%. 

Inoltre, è stata evidenziata una correlazione inversa tra i livelli di questi omega-3 e la gravità dell'ansia (più bassi erano i livelli di omega-3 nelle cellule, più severa erano le forme di ansia registrate.

Diversi studi hanno evidenziato che l’integrazione con omega-3 è in grado di ridurre l'ansia.

In particolare, si suggerisce che la dose e il tipo di omega-3 sono caratteristiche importanti da considerare. 

Gli studi che utilizzavano dosi inferiori a 2 grammi al giorno di omega-3 tendevano a non essere significativamente efficaci nel trattamento dell'ansia. 

Analogamente è stato evidenziato che gli integratori con proporzioni inferiori di DHA erano meno efficaci nel ridurre l'ansia, arrivando a non avere effetti significativi con integratori contenenti più del 60% di EPA.

Pertanto, è bene valutare con attenzione l’eventuale integrazione di omega-3 ai fini di un miglioramento fisiologico dell’ansia, privilegiando in particolare fonti di omega-3 come le uova di pesce e l'olio di krill, seguite dal salmone e da altri pesci grassi.

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4. Sfrutta il potere “antifiammatorio” della curcumina

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La curcuma è probabilmente la spezia più studiata per la salute del cervello. 

Il suo componente attivo, la curcumina, è stato esplorato come trattamento per il morbo di Alzheimer, il morbo di Parkinson, la depressione, le comorbidità dell'ansia e l'ansia stessa

Diversi studi randomizzati, in doppio cieco e controllati con placebo hanno dimostrato che l'integrazione di curcumina può ridurre l'ansia nell’uomo.

Tuttavia, ci sono dei limiti alla letteratura scientifica prodotta sulla curcumina. 

Alcuni studiosi hanno contestato che i benefici della curcuma e dei suoi componenti per la salute sono eccessivamente sensazionalistici. 

In particolare, in un'attenta analisi della chimica medica della curcumina si è dimostrato in modo convincente che i risultati positivi nei sistemi modello possono essere confusi dall'instabilità chimica della curcumina e dal potenziale di interferire con le letture del dosaggio. 

Inoltre, gli esperti sottolineano che esiste un grande grado di variabilità tra gli studi rispetto alla purezza degli integratori e alle formulazioni, che confondono la riproducibilità degli studi.

Ad esempio, le sostanze attive della curcuma sono poco assorbite in natura dal nostro organismo quando somministrate come polvere o in una soluzione acquosa. 

Per questo motivo, i curcuminoidi (i principi attivi della curcumina) dovrebbero essere consumati con i grassi.

L’industria farmaceutica per aumentare l’assorbimento deilla curcumina ha sviluppato sistemi di somministrazione a base di lipidi, inclusi liposomi e nanoparticelle. 

In effetti, negli studi controllati randomizzati nei quali si sono evidenziati risultati positivi della curcumina sull'ansia, si sono utilizzate formulazioni specifiche per aumentare la biodisponibilità della curcumina, inclusa la nano-curcumina e la co-somministrazione di piperina, che aumenta di circa 20 volte l'assorbimento della curcumina rispetto alla sola polvere.  

In questo senso, vista anche la cautela nell’utilizzo di queste sostanze in chi soffra di problematiche epatiche e renali,  sottolineo di non assumere integratori di curcuma senza il parere preventivo del medico curante o di un farmacista esperto in grado di consigliarti al meglio.
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​5. Controlla i livelli di Vitamina D nel sangue

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Poiché la maggior parte delle persone nel mondo occidentale moderno trascorre la maggior parte del tempo in casa, completamente vestita o semplicemente vivendo ad alte latitudini, la produzione endogena di vitamina D è spesso inadeguata. 

È anche difficile assumere abbastanza vitamina D dalla dieta (ho parlato dei cibi a più alto contenuto di vitamina d in un recente post nella pagina Facebook della farmacia)

Nel 2014, la Società italiana dell’Osteoporosi, del Metabolismo Minerale e delle Malattie dello Scheletro (SIOMMMS) sottolineava che in Italia l’80% della popolazione sarebbe carente di Vitamina D (ovvero con livelli inferiori a 30 ng/mL).

Anche se tra gli esperti non c’è ancora omogeneità nel definire quali valori debbano essere considerati come insufficienza evidente nei livelli di Vitamina D, non possiamo nascondere che lo stile di vita moderno ha effettivamente indotto una riduzione sensibile della produzione naturale da parte dell’oganismo di questo importante ormone.

Nel cervello, la vitamina D regola importanti processi metabolici (l'omeostasi del calcio e i canali ionici), i livelli di sostanze fondamentali nella trasmissione tra i neuroni (come la dopamina e la serotonina).

I benefici della vitamina D sono anche probabilmente mediati dal suo stesso ruolo nel modulare il microbioma intestinale e riducendo l'infiammazione cronica.

Bassi livelli di vitamina D sono associati con più disturbi mentali, tra cui la schizofrenia, la depressione e l'ansia. 

In alcuni studi, l’integrazione di vitamina D in coloro che mostravano una carenza di vitamina D è risultata efficace nell'affrontare l'ansia. 

Va in questo contesto sottolineato che l'integrazione di vitamina D nel combattere l'ansia è risultata efficace solamente in chi ha una chiara carenza di vitamina D.

In medicina, sappiamo bene che non è possibile estendere i risultati emersi nei soggetti specifici di uno studio in altre situazioni.

Quindi la cautela è d’obbligo quando accostiamo l’integrazione di Vitamina D per ripristinare un equilibrio fisiologico in un soggetto ansioso.

Tuttavia, la valutazione dei livelli di vitamina D ed una eventuale integrazione dovrebbe essere presa in considerazione in chi soffre di una storia importante di disturbo d’ansia.

Anche in questo caso, sconsiglio fortemente il fai da te: senti sempre il parere del tuo medico o di uno specialista per valutare con attenzione le tue necessità personali.
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Altre potenziali strategie 

I ricercatori hanno inoltre sottolineato che nel trattamento dei disturbi di ansia, potranno essere prese in considerazione anche ulteriori potenziali strategie nutrizionali, tra cui la riduzione della caffeina, l’uso di prebiotici e probiotici per supportare il microbioma nel soggetto ansioso e l'integrazione con o magnesio o triptofano per aumentare potenzialmente la sintesi di serotonina.



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Sebbene tutti questi trattamenti necessitano sempre di una valutazione attenta con il proprio medico di base o con uno specialista, modulare con più equilibrio la propria alimentazione non può che comportare un effetto positivo in chi soffre di ansia e agitazione.

Personalmente, senza rischiare inutili eccessi di integrazione o l'adozione di strategie alimentari troppo limitiative per le tue caratteristiche posso suggerirti tre opzioni che sono certo non possano che impattare positivamente sul benessere del tuo organsimo:


- una significativa riduzione dell’utilizzo degli zuccheri

- una maggiore diversità nella scelta dei cereali utilizzati nella tua deita (evitando il solo consumo di frumento e affini, ma alternando anche riso, grano saraceno, quinoa…) 

- un sensibile incremento del consumo di pesce ed in particolare di pesce azzurro ad almeno 2-3 porzioni a settimana.


Provaci.

Sono certo che la tua salute ne risentirà in modo più che positivo.


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Lattoferrina e Covid-19

31/8/2020

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Da qualche settimana in rete si fa un gran parlare di un integratore che sembrerebbe in grado di ostacolare l'infezione da Sars-Cov-2: la lattoferrina.

Vediamo insieme cosa c'è di vero in questa notizia e soprattutto a che punto è la ricerca sull'utilizzo della lattoferrina come integratore con attività immunomodulatrice.



CARATTERISTICHE DELLA LATTOFERRINA

La lattoferrina è una glicoproteina che appartiene alla famiglia della lattoferrine che trasportano ferro, anche denominate transferrine, originariamente isolata dal latte bovino, in cui si trova come componente proteica minore all'interno delle proteine del siero del latte.

La lattoferrina è considerata una proteina multifunzionale con più ruoli biologici e uno tra i più importanti fattori dell’immunità naturale non anticorpale.

Vista la sua capacità di legare il ferro, si pensa che la lattoferrina possa rappresentare la fonte di ferro per i neonati allattati al seno.



ATTIVITA'  DELLA LATTOFERRINA

La lattoferrina inoltre esplicherebbe proprietà antibatteriche, antivirali, antifungine, antinfiammatorie, antiossidanti e immunostimolanti.

La possibile attività antibatterica è attribuibile in parte alla sua capacità di legare stabilmente il ferro che è essenziale per favorire la crescita dei batteri patogeni.

L'effetto antivirale potrebbe invece essere giustificato dalla sua azione inibente la fusione tra il virus e la cellula e pertanto dell'ingresso del virus nella stessa.

Una serie di studi condotti in vitro e su modelli animali hanno dimostrato che la lattoferrina esercita effetti fungicidi e battericidi.

Questa molecola possiede un'efficacia significativa nei confronti di Escherichi coli, Proteus mirabilis, Staphilococcus aureus, Candida albicans e altri germi patogeni.

In vitro, la lattoferrina ha dimostrato un'efficacia significativa nei confronti dei virus HIV, herpes simplex tipo I, dell'epatite C, citomegalovirus ed alcuni altri.

Mancano tuttavia studi clinici adeguati al riguardo. 

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COVID-19  E LATTOFERRINA

Prendendo spunto da queste indicazioni, un team di ricercatori italiani del Policlinico Tor Vergata, ha dato il via ad uno studio clinico per i pazienti Covid-19 paucisintomatici ed asintomatici per valutare l’efficacia e la sicurezza di una formulazione innovativa di lattoferrina, somministrata per uso orale e ed intranasale.

Questo trial clinico è stato, secondo il team di ricercatori, il primo approvato, sull’utilizzo della lattoferrina nei pazienti Covid positivi a livello nazionale ed internazionale.

I risultati ottenuti nei pazienti (ancora da pubblicare) avrebbero dimostrato l’efficacia della lattoferrina nel favorire, senza effetti avversi, la remissione dei sintomi clinici nei pazienti Covid-19 positivi sintomatici (ricordo sempre che si trattava di pazienti asintomatici o paucisintomatici) e la negativizzazione del tampone già dopo 12 giorni dal trattamento.

I ricercatori, inoltre sostengono che anche dagli esami ematici si siano osservati risultati notevoli che saranno presto pubblicati.

In sintesi è stata somministrata la lattoferrina a due gruppi di pazienti: a un gruppo appartenevano persone asintomatiche positivi al tampone, all’altro gruppo persone paucisintomatiche (cioè con CoVid-19 in forma lieve).

I risultati ottenuti sembrerebbero incoraggianti: scomparsa dei sintomi nel secondo gruppo e negativizzazione del tampone in tutti i gruppi.

La lattoferrina non è stata sperimentata però nelle forme di CoVid-19 più severe (con polmonite interstiziale), quindi attualmente è tutto ancora in fase di ipotesi per quanto riguarda il suo effetto curativo nei malati gravi.

Allo stesso tempo, il gruppo di ricerca di Tor Vergata ha ipotizzato che la lattoferrina possa ostacolare il Coronavirus (Sars-CoV-2), subito dopo il suo ingresso nell’organismo, prima che infetti le cellule e, quindi, scateni la malattia.

Anche questo aspetto dovrebbe essere confermato e studiato più nel dettaglio nei prossimi mesi.



QUALCHE CONSIDERAZIONE

Prima di lasciarci andare a facili entusiasmi, credo sia però opportuno fare qualche considerazione più approfondita.

Cominciamo sottolineando innazitutto, che lo studio del Tor Vergata deve essere ancora pubblicato: stiamo parlando di ipotesi o tutt'al più di qualche risultato preliminare ancora da confermare in un numero di pazienti non molto elevato.

L'unica pubblicazione attualmente disponibile è una revisione delle proprietà della lattoferrina  con cui il team del Tor Vergata propone di progettare uno studio clinico per valutare e verificare il suo effetto nei pazienti positivi al Covid-19 utilizzando un trattamento di duplice combinazione con una formulazione spray intranasale locale e solubilizzata e somministrazione orale.

Questo studio è stato pubblicato sull’International Journal of Molecular Sciences, una rivista open access, non di eccelsa qualità ( l'impact factor era di 4.183 nel 2018 – quello di Nature, ad esempio, era 42.778).

Puoi 
leggere lo studio completo a questo link su MDPI..

Già nell'abstract è evidente che non si tratta di uno studio vero e proprio, ma piuttosto di una revisione degli studi disponibili sulla lattoferrina per formulare un razionale di impiego nella malattia da Covid-19..

La ricerca vera e propria sui pazienti iniziata a maggio 2020 dagli stessi ricercatori non è stata infatti ancora pubblicata nemmeno in pre-print (non è disponibile in alcun modo e non è ancora stata verificata da altri scienziati) e quindi stiamo parlando di dati preliminari ancora non verificati.

Peraltro, nelle conclusioni della pubblicazione,  sono proprio gli stessi ricercatori che affermano di ritenere che sia necessario uno studio clinico (che infatti non è ancora concluso) e dicono che la lattoferrina “potrebbe essere usata in pazienti asintomatici o lievemente sintomatici per prevenire il peggioramento della SARS-CoV2”.

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Dobbiamo anche considerare che la maggior parte delle possibili azioni della lattogerrina assunta per via orale potrebbe essere circoscritta nell'intestino.

Consci di questa caratteristica, i ricercati del Tor Vergata hanno infatti proposto la progettazione di uno studio clinico per valutare e verificare l'effetto della lattoferrina utilizzando un trattamento di duplice combinazione con formulazione spray intranasale locale e solubilizzata e somministrazione orale".

Estendere quindi gli eventuali risultati incoraggianti dello studio alla sola somministrazione orale (così come fatto da diverse aziende di integratori in capsule o compresse) è pertanto qualcosa che non è corretto fare dal punto di vista scientifico.

Nei ringraziamenti della revisione in questione infine gli autori menzionano una azienda sponsor che ha fornito proprio il tipo di lattoferinna liposomiale con cui è stato condotto lo studio. 

Nulla di straordinario, ben intenso, ma in casi come questo è bene essere cauti ed aspettare quindi conferme più solide ed indipendenti.



RIASSUMENDO...

L'utilizzo di integratori di vario tipo nella prevenzione delle infezioni respiratorie e nei malanni dell'inverno  è senza dubbio affascinante.

La letteratura scientifica però ci insegna che non sempre quello che è stato dimostrato in vitro trova una corrispondenza clinica rilevante anche sull'uomo.

Il marketing e gli interessi dei produttori portano spesso a conclusioni fuorvianti.

La notizia dello studio del Tor Vergata sulla lattoferrina come integrazione utile nel trattamento delle forme più lievi di Covid-19 deve essere pertanto presa con le pinze in attesa di evidenze più solide e soprattutto verificate dalla comunità scientifica.

Se davvero sei interessato a ottimizzare le tue difese immunitarie, ti consiglio di iniziare a lavorare innanzitutto sul tuo stile di vita.

Alimentazione bilanciata, attività fisica moderata e costante, riduzione dello stress, ottimizzazione dei ritmi circadiani e buona qualità del sonno possono aiutarti a mantenere efficiente il tuo sistema immunitario.

L'industria alimentare e la società dei consumi ci impongono abitudini errate che sono molto più impattanti sulla nostra salute di un qualsiasi rimedio "immunostimolante".

Qualsiasi forma di integrazione non può prescindere da uno stile di vita ottimale e soprattutto deve essere presa in considerazione sulla base di eventuali carenze (o microcarenze) personali da valutare persona per persona e non sulla base di affascinanti e spesso discutibili proposte di marketing.


Dott. Francesco Fratto
Farmacista e Lifestyle Trainer
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SPIRULINA E  INSIDIE DEI SUPERFOOD

14/12/2017

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© Can Stock Photo / Kesu
Negli ultimi tempi, sta aumentando l'attenzione ed il consumo della spirulina come alimento e come integratore alimentare, grazie alla nomea che si è creata in questi anni come "super food".

Come spesso accade in questi casi, bisogna però evidenziare che il successo commerciale di un prodotto è perlopiù legato a mode del momento correlate al "marketing della salute" piuttosto che non ad una reale evidenza scientifica.

In pratica, le varie aziende rivolgono particolare attenzione ad un prodotto dopo che il precedente ha esaurito la sua "carica" commerciale, il più delle volte conseguente ad una naturale disaffezione dei consumatori dovuta a promesse non mantenute o in parte disattese.

Recentemente l'ANSES (l’Agenzia per la Sicurezza Alimentare Francese) in seguito a diverse segnalazione di affetti avversi presumibilmente legati al consumo di alcuni integratori alimentari contenenti spirulina, ha redatto un interessante documento che ho pensato di riproporre tradotto in italiano per fare un po' di chiarezza sull'utilizzo di questo integratore.

La spirulina è un cianobatterio (e non un'alga come spesso creduto, ndr) solitamente venduto come polvere, divenuta da tempo un alimento tradizionale consumato in molti paesi.

In Francia, i preparati di spirulina sono disponibili sul mercato sotto forma di alimenti comuni (da soli o come ingrediente) o sotto forma di integratori alimentari a cui vengono attributi vari benefici per la salute.

Tuttavia, in seguito all'uso di integratori alimentari contenenti spirulina diversi casi di eventi avversi sono state portati a conoscenza del sistema di vigilanza nutrizionale ANSES o pubblicati su riviste scientifiche.

Le dosi consumate in questi casi non sono note con precisione e gli effetti riportati sono molto vari: disturbi digestivi, allergie, danni muscolari o epatici ...

In considerazione degli studi disponibili, la spirulina non sembra presentare rischi per la salute a basse dosi (fino a diversi grammi al giorno negli adulti). Tuttavia, il numero di studi epidemiologici disponibili è troppo piccolo per rivelare effetti rari come l'ipersensibilità individuale.

I prodotti contenenti spirulina possono essere contaminati da cianotossine (microcistine in particolare), batteri o oligoelementi (piombo, mercurio, arsenico).

Dato il rischio di contaminazione della spirulina per cianotossine, batteri o metalli in tracce, l'Agenzia raccomanda i consumatori di integratori alimentari contenenti spirulina per di prestare particolare attenzione alla catena di produzione degli integratori stessi, assicurandosi che vengano rispettate le normative governative in termini di tracciabilità, identificazione del produttore e compliance.

Inoltre, le caratteristiche della spirulina e le reazioni avverse segnalate portano ANSES a scoraggiare il consumo di questi integratori alimentari per le persone con fenilchetonuria (una rara malattia genetica associata con l'accumulo di fenilalanina nel corpo) o che presentano un quadro allergico.

Infine, l'Agenzia sottolinea che la spirulina non è una fonte affidabile di vitamina B12 per chi dovesse necessitare di integrare nella dieta tale vitamina (es. vegani), in quanto questa è presente nella spirulina principalmente come un analogo inattivo.

Inoltre, il consumo di 5 g/die di spirulina (quantità massima raccomandata da alcuni integratori alimentari) fornisce da 7 a 8,5 mg di beta-carotene mentre il limite di assunzione giornaliera di beta-carotene da parte degli integratori alimentari è stato stimato a 7 mg/die oltre all'assunzione spontanea.

In considerazione del rischio di contaminazione da parte di cianotossine (microcistine in particolare), batteri o elementi di metalli in tracce, l'Agenzia sottolinea l'importanza di controllare la qualità delle acque di produzione dei cianobatteri della spirulina e di controllare i metodi di produzione delle industrie stesse.

L'ANSES ritiene utile condurre una perizia per stabilire una soglia di microcistina per gli integratori alimentari contenenti spirulina, tenendo conto di altre assunzioni dietetiche di microcistine e dell'assunzione giornaliera tollerabile (TDI) di 0,04 μg / kg. / j fissato dall'OMS per l'esposizione cronica.

Inoltre, per quanto riguarda questa TDI, ANSES ritiene necessario rivalutare il limite di microcistina impostato a 1 μg / g per gli integratori alimentari contenenti alghe Klamath.


Riassumendo, la spirulina è indubbiamente una ottima fonte di proteine, ricca anche di vitamine e sali minerali (in particolare calcio, potassio, fosforo, magnesio, zinco, rame e ferro), utile nei casi di aumentato fabbisogno o in particolari situazioni nutrizionali.

Tuttavia non ci sono al momento studi affidabili che documentino un'azione utile nella riduzione del peso corporeo o proprietà in grado di favorire la digestione o combattere ansia e stress.

Per questo motivo, il consumo di spirulina andrebbe limitato solo dietro consiglio di un medico o di un operatore sanitario esperto nei casi di effettiva necessità nutrizionale.

Va invece evitato l'utilizzo nei soggetti allergici e in pazienti in trattamento con più farmaci per evitare l'insorgere di interferenze nei processi di metabolizzazione degli stessi.

Aggiungo, infine, alcune informazioni che ho tratto verificando la letteratura scientifica attualmente disponibile per quanto riguarda i dosaggi di spirulina consigliati.

La dose di spirulina utilizzata negli studi che ne esaminano gli effetti varia notevolmente.
In generale, 1-8 g al giorno di spirulina hanno dimostrato di avere un certo effetto.

Le dosi specifiche dipendono dalla condizione in cui viene utilizzato per:

- per il colesterolo, le dosi nell'intervallo da 1 a 8 g al giorno hanno evidenziato un discreto effetto;
- per le prestazioni muscolari, sono state utilizzate dosi di 2-7,5 g al giorno;
- per il controllo della glicemia, sono stati osservati effetti molto lievi con 2 g al giorno;
- la pressione del sangue può essere influenzata a dosi di 3,5-4,5 g al giorno;
- sono stati osservati effetti per il fegato grasso a dosi di 4,5 g al giorno

Dal momento che alcuni studi hanno suggerito una riduzione delle attività degli enzimi CYP2C6, CYP1A2 (aromatasi) e CYP2E1 e una sovraregolazione (aumento dell'attività) sia per CYP2B1 che per CYP3A1 è bene prestare particolare attenzione all'utilizzo di spirulina in concomitanza con l'assunzione di farmaci o altri integratori.

Ricorda... fai le scelte giuste quando si tratta di salute!
​
​Buona Vita!
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Poco è meglio di niente? i tanti modi (inefficaci) di trattare i crampi notturni

11/8/2017

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© Can Stock Photo / blasbike
I crampi notturni delle gambe sono una sintomatologia molto diffusa, in particolare nelle persone con più di sessant'anni e nelle donne in gravidanza. 

Un crampo notturno può manifestarsi a livello delle gambe o dei piedi e consiste in una dolorosa e improvvisa contrazione del muscolo che può durare da qualche secondo a qualche minuto e che può ripetersi più volte durante la stessa notte.

Anche se questa fastidiosa sintomatologia non conduce a lesioni permanenti, tuttavia, i crampi notturni delle gambe possono compromettere il sonno notturno, portando ad una diminuzione progressiva della qualità di vita del paziente.

Nonostante questo tipo di sintomatologia sia piuttosto frequente tra la popolazione, tuttavia si conosce ancora poco delle cause di questo fenomeno e anche su cosa fare per prevenirlo.

Di conseguenza, negli anni sono stati utilizzati un gran numero di farmaci, di rimedi popolari e di cure alternative, talora avvallate anche dagli stessi operatori sanitari, nel tentativo di curare o prevenire il fenomeno dei crampi notturni.

Di contro,
 una recente metanalisi ha evidenziato che la maggior parte delle persone cura i campi notturni con rimedi che sono per lo più  inutili o pericolosi, se non addirittura inutili e pericolosi. 

Qual è allora l'approccio terapeutico migliore non avendo una solida evidenza scientifica per il trattamento di questa sintomatologia?


Le cause dell'insorgenza dei crampi notturni non sono ancora ben chiare: probabilmente sono dovuti ad un affaticamento muscolare o a disfuzioni nervose piuttosto che ad uno sbilanciamento degli elettroliti o a disidratazione come molto spesso si tende a credere.

Tuttavia cosa realmente scateni la contrazione del muscolo non è stato ancora determinato.

Anche l'utilizzo di alcuni tipi di farmaci sembra essere associato all'insorgenzo dei crampi notturni (per assurdo, anche alcuni farmaci usati per prevenire i crampi stessi), ma non ci sono allo stato attuale sufficienti evidenze per correlare le due situazioni.

A meno che non sia stata identificata una specifica situazione patogenetica per i crampi notturni delle gambe, l'approccio terapeutico ai casi idiopatici si concentra prevalentemente sulla riduzione della frequenza e della gravità dei casi. 

La gestione acuta di un crampo dei muscoli della gamba è la preoccupazione più immediata e di solito lo stiramento del muscolo stesso è sufficiente a bloccare il crampo. 

L'allungamento del muscolo
(streching) è certamente l'approccio non farmacologico più diffuso per prevenire i crampi delle gambe, ma laddove lo streching sia stato preso in esame negli studi clinici controllati la sua effettiva efficacia nella prevenzione dei crampi notturni non è mai stata ben documentata.

Non sorprende dunque che ci siano un'enorme quantità di integratori e rimedi usati per prevenire i crampi delle gambe. 

Una 
recente indagine sui trattamenti utilizzati da 632 adulti più anziani con crampi alle gambe nella pratica medica in Alsazia (Francia) evidenzia la moltitudine di approcci terapeutici per questo problema. 
Lo studio è basato su questionario che ha valutato se i pazienti avessero manifestato crampi notturni, se avessero usato alcuna terapia e quali fossero nello specifico quelle terapie. 
Dei 632 pazienti, 133 (20%) usavano trattamenti farmacologici e non per trattare circa 3 episodi di crampi al mese. 

Non discutiamo in questa sede l'analisi statistica dei dati, quanto la varietà dei rimedi utilizzati che è sicuramente molto interessante.
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Questo l'elenco dei trattamenti utilizzati:
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Tra i trattamenti farmacologici, l'utilizzo del magnesio è al primo posto, nonostante le evidenze cliniche suggeriscano che il suo effetto non sia migliore del placebo (ci sono tuttavia alcune evidenze incoraggianti che evidenziano per il magnesio una riduzione dei crampi notturni nelle donne in gravidanza).

Il chinino (un vecchio farmaco antimalarico) è al secondo posto, cosa che evidenzia le differenze culturali e legislative rispetto allla Francia, dato che in Italia l'utilizzo di questo farmaco non è più da tempo preso in considerazione, a causa di uno sfavorevole rapporto rischio/beneficio, vista l'insorgenza di gravi e fatali reazioni allergiche, nonché una serie di altre tossicità, anche dopo una singola dose. 

Ancora, forse rappresentando le diverse tendenze culturali e geografiche, l'omeopatia è stata riportata come terzo rimedio scelto per la cura dei crampi notturni.
Anche per l'omeopatia, l'efficacia del trattamento è risultato sempre sovrapponibile al placebo, 
ma almeno in questo caso possiamo dire che non si corrono rischi di morte, a differenza di quanto accade con l'utilizzo del chinino. 

Il resto dei trattamenti segnalati dai pazienti in questo studio include poi farmaci antinfiammatori, antidepressivi e addirittura estratto di sanguisughe.

Tra i trattamenti non farmacologici, quello che sembra essere un vecchio rimedio popolare (il sapone nel letto) è al primo posto della lista (in effetti, si trova molto spesso consigliato anche in blog salutistici di medicina "naturale"), seguito da una serie di approcci curativi che sembrano essere approvati o accettati anche dalla maggior parte delle linee guida attualmente disponibili: stretching, mobilitazione del muscolo, massaggio, calore.

Tutti questi trattamenti tendono tuttavia ad essere raccomandati, di solito con l'avvertimento che non ci sono solide evidenze a dimostrazione di una loro comprovata efficacia clinica.


Scegli  con attenzione quando non ci sono soddifacenti evidenze di efficacia clinica.

Sebbene i crampi notturni affliggano milioni di persone, non sono attualmente disponibili robuste evidenze scientifiche per indirizzare i pazienti o gli operatori sanitari nella scelta dei trattamenti. da preferire. 

L'ampio numero di approcci terapeutici che vengono utilizzati riflette probabilmente la realtà che nulla effettivamente funziona efficacemente, tanto che i benefici percepiti sono, con molta probabilità, più delle valutazioni soggettive casuali nel loro verificarsi piuttosto che una reale occorrenza di causa ed effetto.

L'assenza di evidenze cliniche è piuttosto frustrante, dato la diffusione e l'entità del problema nella popolazione.
Purtroppo, va segnalato inoltre che questa 
non sembra essere una potenziale area di ricerca, quindi probabilmente saremo in questa situazione anche per il prossimo futuro.


Quando ci si trova di fronte a una mancanza di evidenze scientifiche per qualsiasi trattamento, è bene allora concentrare la nostra attenzione sulla sicurezza dei trattamenti presi in considerazione. 

Le misure non farmacologiche come il massaggio e l'allungamento del muscolo sembrano avere il rischio più basso, anche inferiore agli integratori come il magnesio o le vitamine. 

Considerati anche i ridotti
 controlli sulla qualità e sulla sicurezza di molti rimedi erboristici disponibili in commercio e vista la mancanza di robuste evidenze scientifiche sulla loro effettiva utilità, questo genere di approccio ai crampi notturni sembra dunque  presentare un rapporto rischio-beneficio non favorevole. 

L'utilizzo di farmaci (o di integratori) andrebbe invece limitato ai soli casi in cui i trattamenti non farmacologici risultino inefficaci e solo quando i crampi notturni siano severamente penalizzanti la qualità della vita del paziente stesso.


Per quanto riguarda la prevenzione dei crampi, sulla base della letteratura ad oggi disponibile, è consigliabile adottare alcuni semplici abitudini e stili di vita come ad esempio aumentare l'assunzione di liquidi durante il giorno ed evitare caffeina e alcol, in particolare durante le ultime ore della giornata (1). 

Anche un breve esercizio fisico, come il camminare o l'utilizzo di una cyclette poco prima del riposo notturno può essere un rimedio da provare, anche se mancano prove di un sostanziale beneficio (1)

Ci sono inoltre alcune evidenze contrastanti che indicherebbero una certa utilità di un breve stretching prima del sonno, ma ancora tutte da confermare.  
Un trial controllato randomizzato ha infatti evidenziato che la frequenza dei crampi notturni è diminuita significativamente dopo sei settimane nei partecipanti che avevano eseguito un breve allungamento dei muscoli prima di andare a letto.(2)
Tuttavia, un limite di questo studio è che il gruppo di controllo non aveva ricevuto un intervento placebo. 
In un altro studio in cui il gruppo di controllo aveva invece eseguito esercizi "placebo", l'allungamento del polpaccio non è risultato essere più efficace nel ridurre la frequenza o la gravità della sintomatologia notturna (3)

Purtroppo la conclusione che dobbiamo evidenziare è che finchè non emergeranno evidenze più robuste molti di noi continueranno a "lottare" con vari rimedi per prevenire e curare i crampi notturni. Facciamolo almeno in sicurezza.

Buona Vita!

  1. Allen R, Kirby K. Nocturnal leg cramps. Am Fam Physician 2012;86(4):350-5.
  2. Hallegraeff JM, van der Schans CP, de Ruiter R, de Greef MHG. Stretching before sleep reduces the frequency and severity of nocturnal leg cramps in older adults: a randomised trial. J Physio 2012;58(1):17-22.
  3. Coppin R, Wicke D, Little P. Managing nocturnal leg cramps - calf-stretching exercises and cessation of quinine treatment: a factorial randomised controlled trial. Br J Gen Pract 2005;55(512):186-91.

L'articolo è tratto da una libera traduzione dell'originale "Is something better than nothing? The many ineffective ways we treat nocturnal leg cramps" pubblicato on line su https://sciencebasedmedicine.org
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Curcuma: quale scegliere!

8/4/2017

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Sempre più spesso appaiono nel web articoli o notizie che decantano le sensazionali proprietà curative della curcuma, caratteristica spezia dal colore giallo, molto nota nella tradizione ayurvedica e nella cultura culinaria indiana e mediorientale.
In effetti, nella radice della curcuma sono contenute alcune sostanze particolarmente interessanti dal punto di vista farmacologico, ovvero i curcuminoidi, principi attivi che hanno reso questa spezia uno dei fitoterapici più studiati al mondo.
In particolare, la curcumina, la sostanza più attiva della curcuma ha mostrato in ben oltre 8.000 studi scientifici la sua capacità di poter influenzare l'espressione di alcuni geni, mostrando ottime capacità antiossidanti e antinfiammatorie. 
Sulla base di queste evidenze, molti autori si sono spinti ad ipotizzare per la curcuma svariate proprietà terapeutiche, tanto che in alcuni articoli pubblicati in rete (qui un link ad uno di questi post che, ricordo, non sono "pubblicazioni scientifiche") si arriva a dipingere questa spezia come un toccasana per svariate problematiche. Scorrendo le molte ricerche cliniche, la curcumina sembra avere un potenziale clinico in moltissime patologie, dal cancro all'Alzheimer, dalla sindrome metabolica all'ipercolesterolemia, dall'artrite alla steatosi epatica e molto altro.

Ma è davvero tutto ora quel che luccica?
Purtroppo l'eccesso di "fiducia" terapeutica verso questo rimedio naturale ha anche spinto qualche ciarlatano ad approfittare della buona fede di qualche ignaro (e spesso disperatamente disponibile) paziente come purtroppo è balzato recentemente agli onori della cronaca nel caso di un deprecabile e scellerato utilizzo di curcuma in soluzione endovenosa di cui rimando l'approfondimento a questo link.
A voler andare più a fondo sulla questione, c'è invece da dire che nonostante le ottime premesse, la ricerca scientifica allo stato attuale ha dato poche risposte definitive nell'utilizzo terapeutico nell'uomo.
Questo è dovuto al fatto che la stragrande maggioranza degli studi pubblicati sono ricerche effettuate in vitro e non direttamente applicabili all'organismo umano.
Il principale problema dell'utilizzo terapeutico della curcumina è la sua biodisponibilità, ovvero la capacità di essere assorbita nel tratto digerente umano: meno del 10% della curcuma che viene introdotta a livello alimentare è in grado di passare nel circolo sanguigno.
Oltre alla difficoltà di assorbimento, la curcumina ha un metabolismo molto rapido, fattore che ne limita ulteriormente la presenza a livello sistemico. 

Anche assumendo, come spesso citato in molti articoli, dosaggi variabili da 3 a 12 grammi di curcuma al giorno (la spezia che comunemente troviamo negli scaffali di supermercati e alimentari) non sappiamo effettivamente quanto di quella polvere sia in grado di apportare benefici alla nostra salute.
Per questo, se da un lato un utilizzo continuativo e abbondante della curcuma, come accade per molte popolazioni asiatiche sembra dare interessanti benefici in termini preventivi da alcune malattie, dall'altro un utilizzo estemporaneo e saltuario come accade invece in molti casi nella nostra cultura non è in grado di tradursi in altrettanti risvolti salutistici.
Per sfruttare le interessanti prospettive curative della curcuma molte aziende, farmaceutiche e non, hanno introdotto nel mercato della salute una ampia varietà di integratori, ammantandoli di promesse curative a volte eccessivamente mirabolanti.
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Come detto, l'efficacia della curcumina dipende fondamentalmente dalla sua biodisponibiltà e per questo è di basilare importanza capire come poter scegliere un integratore adeguato.
Attualmente nel mercato si trovano svariati tipi di prodotti, dalle capsule contenenti la semplice polvere a prodotti che sfruttano le più recenti tecnologie per ottimizzare e standardizzare il dosaggio della curcumina.
Considerando la difficoltà di assorbimento della spezia, tenderei a sconsigliare l'utilizzo delle preparazioni contenti la sola polvere di curcuma, dato che per raggiungere i dosaggi indicati dagli studi clinici si dovrebbe assumere un notevole quantitativo di compresse o capsule ogni giorno.
Potremmo però aumentare la biodisponibilità della curcumina utilizzando in associazione il pepe nero, che grazie alla piperina in esso contenuta, permette un miglior assorbimento della curcuma attraverso la membrana intestinale. Esistono tra l'altro alcuni integratori formulati con l'associazione delle due componenti. Tuttavia, l'utilizzo del pepe nero per lunghi periodi potrebbe causare disturbi gastrici, anche importanti, e per questo un utilizzo continuativo è fortemente sconsigliato. 

​Per migliorare la disponibiltà della curcuma, anche la tecnica farmaceutica ha ricercato diverse opzioni.
Attualmente, le diverse tecnologie impiegate si concentrano nell'utilizzo dei fitosomi, delle ciclodestrine e di micelle.
Senza entrare nel dettaglio delle diverse soluzioni tecnologiche, possiamo segnalare che la tecnologia con fitosomi ha evidenziato un aumento della biodisponibilità totale dell’estratto 23 volte superiore a quella dell’estratto non complessato. Il veicolo fosfolipidico del fitosoma consente infatti di ottimizzarne l’assorbimento  mimando ciò che avviene fisiologicamente dopo un pasto ricco di grassi. È noto infatti che l’assunzione concomitante di curcuma e alimenti grassi, ad esempio olio di oliva, ne facilita l’assorbimento intestinale.

Anche l'utilizzo di ciclodestrine ha mostrato un notevole incremento della biodisponibilià della curcumina di circa 45 volte superiore rispetto alla curcuma pura. 

Infine, la più recente tecnologia che sfrutta l'utilizzo di micelle per veicolare i prinicipi attivi, in presenza di Polisorbato-80, ha invece reso la curcumina ben 185 volte più biodisponibile della curcumina naturale. 

L’attività fisiologica delle diverse tipologie di estratto di curcuma sono supportate da diverse pubblicazioni e studi clinici. Tuttavia le conclusioni di questi studi che prendono in esame diversi campi di applicazione sono effettuati solitamente con una specifica formulazione e non è possibile trasferire tout court i risultati ottenuti con una determinata tecnologia alle altre diverse soluzioni impiegate.
Per determinare quindi quale tipo di curcuma utilizzare è bene conoscere a fondo quali studi clinici hanno mostrato reali effetti terapeutici sul problema che vogliamo trattare.
Ad esempio, la formulazione con fitosomi, in associazione a Glucosamina si è dimostrata più efficace nel ridurre le problematiche associate all’osteoartrite al ginocchio, rispetto a una formulazione a base di Glucosamina e Condroitina, normalmente usate nel trattamento di quella stessa patologia.
Inoltre, l’assunzione di curcumina veicolata attraverso questo sistema previene alcuni marcatori dell’indolenzimento muscolare a insorgenza ritardata in soggetti sottoposti a sovraccarico verticale. È dunque un prodotto adatto a chi svolge lavori pesanti, sollevamento pesi e, in generale, allenamenti con carico distribuito su schiena e arti inferiori.
D'altro canto, la curcuma con soluzione micellare (visto l'elevato assorbimento) sembra poter essere preferibile in tutti quei casi in cui è necessario un intervento in acuto e di breve durata.
In particolare, risulta particolarmente promettente come sintomatico in alternativa ai farmaci antinfiammatori, ad esempio in caso di problemi articolari e muscolari, ciclo mestruale, problematiche digestive, affaticamento epatico.

Per quanto riguarda la tollerabilità, la curcumina è riconosciuta come GRAS (General recognised as safe) negli Stati Uniti dalla Food and Drug Administration ed è quindi considerata a tutti gli effetti come un alimento di uso giornaliero sicuro fino a 12 g/giorno di polvere.
Tuttavia, l'uso di curcumina dovrebbe essere evitato, data l'assenza di studi a riguardo, durante la gravidanza e nel successivo periodo di allattamento al seno.
Inoltre, un'attenta supervisione medica durante l'assunzione di curcumina, sarebbe necessaria nei pazienti affetti da reflusso gastroesofageo od ulcera peptica, data la potenziale azione irritante nei confronti della mucosa gastrica.
Per lo stesso motivo sarebbe generalmente preferibile assumere integratori di curcumina o curcuminoidi durante il pasto.
Sebbene alcuni trials clinici supportino l'attività terapeutica della curcumina in presenza di varie patologie, è bene non eccedere in facili entusiasmi, almeno fino a quando saranno disponibili ulteriori e più approfonditi studi clinici. E' quindi sconsigliabile abbandonare la terapia farmacologica tradizionale senza aver prima consultato il medico o utilizzare integratori a base di curcumina senza il consiglio di un serio e preparato professionista della salute.
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'Na tazzulella 'e caffè...

27/2/2017

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Nelle rassegne stampe di questa mattina, ho trovato alcuni siti che riportano la notizia della circolare diffusa dal Ministero della salute a tutti gli operatori del settore alimentare che invita a conformarsi alle indicazioni fornite sui limiti massimi di apporto giornaliero di caffeina e sull’uso dei claims.
Nel mirino del Ministero sono finiti infatti alcuni integratori a base di caffeina le cui indicazioni in etichetta non appaiono sufficientemente esaustive e i cui dosaggi possono provocare un superamento delle quantità massime giornaliere consigliate dall EFSA (Autorià Europea per la sicurezza alimentare), visto che la maggior parte degli italiani non può fare a meno di una o più "tazzulelle 'e caffè" durante la giornata. 
Le raccomandazioni contenute nella “Scientific opinion on the safety of caffeine” dell’EFSA risalente al 27 maggio 2015 indicano che per il consumatore medio adulto l’assunzione giornaliera di caffeina da tutte le fonti non dovrebbe superare i 400 mg, di cui non più di 200 mg con una singola razione. In particolare, nella donna in gravidanza e durante l’allattamento l’apporto giornaliero complessivo non dovrebbe superare i 200 mg. 

Sopra i 400 mg/die di caffeina si rischiano infatti "ansi, problemi di stomaco o sbalzi di umore".
Stiamo parlando di circa 5 tazzine di caffè espresso (80 mg di caffeina per tazza) o 2 tazze di caffè filtro all'americana (180 mg di caffeina circa per tazza), quantità che per alcuni rappresentano spesso un'abitudine.
Ecco perché le autorità insistono nel porre particolare attenzione all'assunzione di integratori a base di caffeina che potrebbero aumentare in modo eccessivo gli introiti giornalieri di questa sostanza conducendo a sovradosaggi non desiderabili.
Per comodità riporto una breve tabella con il contenuto di caffeina nelle più comuni bevande di uso frequente (fonte: "Il Fatto Alimentare"):
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Fonte: www.ilfattoalimentare.it
Per quanto riguarda gli integratori o altri alimenti come il cioccolato, attenzione dunque al contenuto di caffeina che potrebbe spingervi ad oltrepassare il limite giornaliero consigliato.
I prodotti in vendita che sfruttano le proprietà della caffeina sono molteplici: dimagranti, stimolanti, tonici, energizzanti... Verificate sempre in etichetta con attenzione i mg di caffeina contenuti, specialmente se siete consumatori abituali di caffè, in modo da restare entro i dosaggi giornalieri consigliati nel computo totale dei milligrammi.
Sottolineiamo che la caffeina può essere presente anche nei prodotti naturali a base di guaranà, le cui proprietà farmacologiche vengono proprio dalla presenza di caffeina nei semi della pianta e anche in alcuni farmaci (NeoCibalgina, Saridon, Tachicaf per citarne alcuni) che sfruttano la capacità di questa sostanza di aumentare l'effetto analgesico dei FANS.
Anche molte creme anti-cellulite utilizzano la caffeina nelle loro formulazioni. In questo caso, tuttavia l'uso topico della caffeina non permette l'assorbimento della sostanza nelle concentrazioni ematiche tali da indurre effetti sistemici.

Insomma... non rinunciate alla vostra "tazzulella 'e caffè" a fine pasto o nelle pause delle giornata, dato che la caffeina ha anche indubbi benefici salutistici, ma attenzione alle quantità totali assunte nel corso della giornata.
​Buona Vita!
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