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5 cose da sapere sui fermenti lattici  (e perché non sarebbe corretto definirli “fermenti lattici”)

17/5/2017

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E’ molto probabile che, in seguito ad un episodio di disturbi gastrointestinali, il vostro medico o il vostro farmacista vi abbia consigliato l’assunzione di “fermenti lattici” per aiutare il vostro organismo a recuperare uno stato di salute ottimale.
Ma cosa sono davvero i “fermenti lattici” e perché il loro utilizzo viene sempre più consigliato per mantenere un corretto equilibrio della nostra flora intestinale?
In questo articolo proviamo a dare alcune risposte, evidenziando quali siano le 5 cose fondamentali da ricordare a proposito di fermenti lattici.

  1. Cosa sono i “fermenti lattici”?
Con il termine “fermenti lattici” vengono in genere indicati i batteri lattici, ovvero particolari microorganismi in grado di trasformare chimicamente, o meglio metabolizzare, il lattosio (lo zucchero maggiormente presente nel latte) mediante un processo enzimatico (fermentazione).
Questi fermenti sono largamente utilizzati da secoli in varie culture per la produzione di bevande o di latte fermentato (ad esempio, lo yogurt).
Tuttavia, va rilevato che la trasformazione del lattosio può essere operata da diversi ceppi di batteri, ma solo alcuni di questi possono eseguire processi realmente utili e benefici per l’uomo: i fermenti lattici “probiotici”.
Più precisamente, il termine “probiotico” deve essere riservato ai microrganismi viventi che hanno dimostrato, negli studi umani controllati, di avere effetti benefici sulla salute.
In buona sostanza, con il termine “fermenti lattici” dovremmo considerare solo quegli organismi che aggiungiamo al latte per “fermentarlo” in yogurt (che non hanno dunque particolari benefici salutistici), mentre in tutti quei casi in cui assumiamo un integratore per contrastare una diarrea o per ripristinare l’equilibrio della flora intestinale è più corretto usare il termini “probiotico”.

  1. A cosa serve la flora intestinale?
La flora intestinale, o più scientificamente “microbiota” è l’insieme dei microorganismi che colonizzano le mucose dell’organismo umano, in particolare quella intestinale.
Il microbiota è peculiare per ogni individuo e rappresenta una sorta di “impronta digitale batterica” che dipende da età, area geografica di provenienza, dieta ed etnia.
Le funzioni della flora batterica intestinale sono molteplici e riguardano sinteticamente l’azione di antagonismo alla proliferazione di microorganismi nocivi nel tratto gastrointestinale, la stimolazione del sistema immunitario e il completamento dei processi digestivi.
 
Quando si crea un’alterazione quantitativa o qualitativa del microbiota locale si ha una drastica riduzione della biodiversità dei batteri a scapito delle specie benefiche e un aumento relativo dei microrganismi patogeni.
Questa alterazione viene definita “disbiosi intesinale”.
La disbiosi intestinale può essere acuta o cronica: la disbiosi acuta si scatena in modo improvviso, come accade ad esempio nelle diarree conseguenti ad antibiotico terapia, mentre la disbiosi cronica si instaura nel tempo e si associa a patologie a carico anche di apparati diversi da quello gastrointestinale, alterazioni del metabolismo, infiammazione cellulare e alterazioni del sistema immunitario.

  1. Quali sono le caratteristiche che deve avere un probiotico?
Secondo la definizione della FAO e dell’OMS, sono considerati “probiotici” alcuni particolari ceppi di batteri di origine umana che in quanto “microorganismi vivi, se somministrati in quantità adeguata, apportano un beneficio alla salute dell’organismo ospite”
Un probiotico per essere definito tale deve dunque avere alcune caratteristiche fondamentali: deve essere costituito da ceppi vivi, ben definiti e correttamente identificabili; deve possedere un’adeguata capacità di adesione alla mucosa intestinale in quantità ottimale; deve garantire stabilità e sicurezza; deve essere compatibile con l’organismo umano; deve apportare benefici all’ospite; deve assicurare elevate caratteristiche tecnologiche di conservazione per preservare la vitalità dei ceppi.
 
4. Un probiotico vale l'altro?
Nonostante ci siano svariate evidenze scientifiche che confermano che l’assunzione di probiotici possa essere di beneficio alla salute nell’uomo, questa evidenza è fondata e rilevante solamente per le forme specifiche che sono state utilizzate nei singoli studi clinici e non è dunque una affermazione che può essere considerata valida per tutti i probiotici in commercio.
Gli effetti descritti nei risultati degli studi devono infatti essere attribuiti solo al ceppo o ai ceppi testati (e relativi dosaggi) e non possono di conseguenza essere utilizzati come evidenza per supportare gli effetti benefici presunti di altri ceppi non utilizzati negli studi clinici.
A tal proposito, va anche sottolineato che non è possibile stabilire un dosaggio generale ed univoco per tutti i probiotici; il dosaggio più corretto deve essere determinato basandosi sulla specificità dei ceppi e sui risultati clinici ottenuti negli studi che hanno dimostrato effetti benefici sulla salute.
In questo senso, il consiglio di un operatore sanitario competente rappresenta la soluzione più corretta per ottimizzare l’utilizzo dei probiotici.
 
5. In quali condizioni i probiotici possono essere impiegati?
Allo stato attuale, ci sono buone evidenze cliniche che dimostrano l’utilità dei probiotici nel trattamento e nella prevenzione delle diarree acute, in particolare in quelle di tipo virale ed indotte dall’uso di antibiotici.
Da varie metanalisi, si è inoltre visto che l’uso dei probiotici è associato ad un miglioramento complessivo dei sintomi della sindrome dell’intestino irritabile (dolore addominale, alterazione dell’alvo, gonfiore e flatulenza).
Rimanendo in ambito gastrointestinale, la letteratura suggerisce ancora che alcuni probiotici possono essere di supporto come terapia adiuvante agli antibiotici nella eradicazione dell’infezione da H. pylori, responsabile di molte gastriti.
L’uso dei probiotici ha inoltre dimostrato benefici anche al di fuori di sintomatologie a carico dell’apparato intestinale.
Vi sono infatti buoni risultati che evidenziano un effetto positivo rispetto al placebo nella riduzione del numero di episodi di infezioni acute delle vie respiratorie superiori e la loro durata media.
Anche nell’ambito delle allergie, si registrano buone evidenze scientifiche nella prevenzione delle dermatiti atopiche e dell’eczema, anche se una chiara indicazione d’uso dovrà essere prioritariamente supportata da una maggiore omogeneità degli studi analizzati.
Un crescente numero di ricerche cliniche sta evidenziando legami importanti tra l’equilibrio della flora intestinale ed il benessere del nostro organismo in diversi ambiti.  
E’ bene pertanto non sottovalutare l’importanza di questi integratori poiché le potenzialità benefiche di questi microorganismi rappresentano già ora uno dei settori più promettenti e dinamici della ricerca medica del futuro.

Questo articolo è stato pubblicato sul numero di Maggio/Giugno di Portogruaro.Net per la rubrica "Stiamo in salute"
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