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Patatine fritte:  quando il troppo stroppia.

29/7/2017

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Che le patatine fritte non siano un cibo salutare, probabilmente è cosa assodata.
Vista la loro appetitosità, tuttavia, è piuttosto diffuso il consumo di questa pietanza.
Non solo fra gli adulti, ma molto spesso anche tra i bambini.

Tuttavia, un recente studio condotto in collaborazione da Italia, Spagna, Gran Bretagna e Stati Uniti, della durata di 8 anni, ha evidenziato che un consumo frequente di patate fritte (oltre due volte a settimana) è correlato ad un aumento del rischio di mortalità prematura. Un’associazione che non è emersa per altri tipi di preparazioni delle stesse patate.

In questa ricerca, 4.440 uomini e donne nordamericani, di età compresa tra 45 e 79 anni, seguiti per 8 anni, sono stati suddivisi in 5 categorie in base ai livelli di consumo di patate (fritte, o preparate in altro modo): meno o pari a una volta al mese, 2-3 volte al mese, 1 volta alla settimana, 2 volte alla settimana, 3 o più volte alla settimana.
Al termine del periodo di osservazione non è stata rilevata alcuna correlazione tra  il consumo complessivo di patate e la sopravvivenza; invece, il consumo di patate fritte (confezionate -chips o fritte - French fries) per due volte alla settimana o più è risultato associato a un significativo aumento del rischio di mortalità, che addirittura raddoppia, indipendentemente da altri fattori.

I ricercatori sottolineano gli elementi che potrebbero spiegare questo dato: negli Stati Uniti, chips e French fries contengono spesso acidi grassi trans e molto sale.
Altre sostanze potenzialmente lesive, derivanti dalla frittura ad alte temperature ​(acroleina, acrilamide, furano) potrebbero contribuire all’effetto osservato. Gli autori hanno peraltro confermato un dato osservazionale importante: chi sceglie più volte alla settimana le patate fritte mostra spesso abitudini alimentari complessivamente scorrette.

E’ quindi anche possibile che un elevato consumo di papate fritte sia semplicemente un marker di uno stile di vita poco salubre.

Non pensiamo che queste abitudini tuttavia siano solo un fenomeno "americano" legato ad una tradizione di fast food (o meglio sarebbe dire "junk food") piuttosto diffuso nel costume degli Stati Uniti.

Anche nel Regno Unito, secondo il National Food Survey del governo, ad esempio è stato registrato nel 2014 rispetto al 1974 un aumento di tre volte maggiore dei consumi di patatine fritte acquistate al supermercato.

In Italia (dati del 2014) si producono 17 milioni di quintali di patate di cui 1,8 sono destinati alla trasformazione industriale; di questi ultimi 600mila quintali diventano chips (le patatine fritte confezionate) mentre 1,1 milioni di quintali stick (dati Assopa). 

La sottovalutazione dell'impatto del cibo sulla nostra salute sta diventando un fenomeno preoccupante.
In particolare nella popolazione pediatrica. Sono infatti i 
bambini le prime vittime di questo “dirottamento alimentare”: da uno studio condotto dall’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù e pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica JAMA Pediatrics è emerso un quadro allarmante.

Su circa 5.700 bambini tra i 2 e i 6 anni di età visitati tra il 2011 ed il 2012 da pediatri della FIMP (Federazione Italiana Medici Pediatri), circa 600 (il 10%) ha sviluppato sovrappeso o obesità’ nell’ultimo anno; per il 40% dei piccoli che hanno potuto sostenere un prelievo di sangue è stata rilevata un’anomalia metabolica (colesterolo alto, pressione alta, glicemia elevata).

E' bene quindi non sottovalutare l'impatto di certi cibi nella alimentazione quotidiana.
Se proprio non potete farne a meno o durante un piacevole weekend, concedetevi anche un piatto di patatine fritte ogni tanto, ma sempre con molta moderazione.
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Vaccini: libera scelta o obbligo?

26/7/2017

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Il tema dei vaccini è un argomento molto delicato e decisamente importante nella sanità degli anni 2000. Non solamente in l'Italia, ma in tutto il mondo.

L'attenzione di questi ultimi tempi nei media e nei social è una chiara dimostrazione di quanto questo argomento ci coinvolga emotivamente e direttamente (specie per chi ha figli in età pediatrica).

Anche negli Stati Uniti si dibatte da tempo dell'importanza delle vaccinazioni, sia in termini medici che economici.

Inutile nascondere che le vaccinazioni, oltre a rappresentare un efficace strumento di prevenzione sanitaria, costituiscono anche un indubbio vantaggio economico per la sanità pubblica.

Per questo motivo, dovremmo sempre ricordare che la vaccinazione non investe solo la sfera personale, ma riguarda in modo piuttosto importante anche l'influenza sociale di ciascun individuo all'interno della propria comunità.

Al di là delle valutazioni personali, ho così ritenuto interessante provare a tradurre alcune considerazioni emerse dalla pubblicazione recente (24 luglio 2017) di uno studio pubblicato su JAMA Pediatrics (tra le riviste scientifiche più autorevoli al mondo) per comprendere in modo più approfondito il dibattito tra libera scelta e obbligo alla vaccinazione.

Negli Stati Uniti, è infatti obbligatorio essere vaccinati ai fini della frequenza scolastica, ma è altrettanto vero che l’esenzione dalla vaccinazione è piuttosto facile da ottenere: sono infatti ben 19 (con regole particolari in Missouri) gli Stati che permettono di non vaccinare il proprio figlio per ragioni filosofiche (convinzioni personali) o religiose. 
Per questo motivo, l'attenzione della comunità scientifica americana sulle percentuali di vaccinazioni è piuttosto elevata. 

Potremmo dire che hanno lo stesso problema che è sorto recentemente qui in Italia, su una popolazione tuttavia molto più numerosa ed eterogenea.

Ecco perchè i dati pubblicati recentemente rappresentano un'evidenza importante su cui politica, comunità scientifica e popolazione dibatteranno a lungo anche negli Stati Uniti.

Secondo lo studio in questione (cliccando su questo link trovi lo studio originale ) si evidenzia in modo piuttosto chiaro che anche una piccola riduzione delle vaccinazioni infantili potrebbe avere conseguenze cliniche ed economiche significative per la salute pubblica.

In un modello di studio che utilizza il vaccino MPR (morbillo, parotite e rosolia) come esempio, i ricercatori hanno evidenziato che una riduzione del 5% della copertura vaccinale tra i bambini di età compresa tra 2 e 11 anni comporterebbe un triplicato aumento dei casi di morbillo tra i bambini di quella fascia di età e milioni di dollari di incremento dei costi della sanità pubblica.

I risultati hanno evidenziato la "urgente necessità" delle istituzioni sanitarie di affrontare i dubbi nei confronti dei vaccini - "intesi sia come ritardo che come rifiuto di accettare la vaccinazione fondati su convinzioni personali", che potrebbero accelerare le lacune nella copertura vaccinale negli Stati Uniti ".

"Penso che il nostro studio debba rappresentare una "sveglia" per ciò che possiamo aspettarci nei prossimi mesi e anni poiché i tassi di copertura vaccinale continuano a diminuire nei 18 Stati che attualmente consentono l'esenzione dalla vaccinazione sulla base di convinzioni non mediche o ideologiche", ha affermato in un comunicato stampa il Dott. Hotez, del Texas Children's Hospital Center per lo Sviluppo dei Vaccini, uno dei ricercatori che hanno firmato lo studio.

I ricercatori hanno basato il loro modello sui dati pubblicamente disponibili raccolti dai Centri per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie dal 2010 al 2015 sulla copertura vaccinale MMR per i bambini dai 2 ai 11 anni.

Inoltre, per stimare la prevalenza delle perplessità sulla vaccinazione, hanno utilizzato dati a livello statale dai Centri per la Controllo e Prevenzione delle Malattie ChildVaxView e SchoolVaxView, che forniscono informazioni sulla copertura vaccinale dei bambini in cura dei bambini e in scuola materna e scuola media. 

Secondo le stime attuali, la copertura nazionale dei vaccini MPR nei bambini dai 2 ai 11 anni è del 93%, con 48 casi di morbillo che si verificano ogni anno.

Basandosi sulle ricerche precedentemente pubblicate, il costo pubblico stimato di ciascun caso di morbillo è di $ 20.000. Tuttavia, i ricercatori avvertono che questa può essere una stima conservativa, in quanto rappresenta solo le spese "vive" come il tracciamento dei contanti, l'analisi di laboratorio e gli stipendi del personale. Non include i costi "personali" come le cure mediche, il tempo dell'asssistenza da parte dei parenti e i giorni persi dalla scuola o dal lavoro.

Non solo, gli autori hanno inoltre utilizzato un modello matematico per costruire circa 10.000 ipotetici scenari per determinare ciò che potrebbe succedere se il morbillo venisse introdotto in una comunità da viaggiatori provenienti da paesi dove è endemico, a seconda dei diversi livelli di copertura vaccinale. 
Hanno scoperto che una riduzione del 5% della copertura vaccinale da MPR potrebbe triplicare l'attuale di incidenza di infezioni arrivando fino a 150 casi/anno, ad un costo aggiuntivo per la sanità pubblica di 2,1 milioni di dollari.

L'aumento della copertura vaccinale attraverso misure come l'eliminazione delle esenzioni "non mediche" aumenterebbe la copertura nazionale in questi gruppi d'età fino al 95%, con una corrispondente diminuzione del 20% del numero di casi annuali, passando quindi dagli attuali 48 casi a 38,  "rappresentando di fatto una valida strategia per mitigare i casi ed i costi annuali del morbillo".

Gli autori dello studio affermano inoltre che molti genitori sono ancora influenzati dalla disinformazione sulla sicurezza dei vaccini e dalla percezione che il morbillo non sia più un rischio significativo negli Stati Uniti. 

Questa analisi tuttavia evidenzia come "il morbillo rappresenti ancora una minaccia sostanziale di potenziali grandi focolai nei bambini", soprattutto se la copertura vaccinale continuasse a diminuire. 

L'ottenimento dell'immunità di gregge dal morbillo richiede una copertura del vaccino variabile tra il 90% ed il 95%, scrivono gli autori. "I dati empirici attuali sulla copertura vaccinale a livello statale suggeriscono che i livelli di vaccinazione sono al limite della soglia desiderata per raggiungere l'immunità di gregge".

I ricercatori concludono quindi che riuscire ad eliminare le perplessità di valutazioni personali non mediche sulla copertura vaccinale potrebbe ridurre questa minaccia e dovrebbe essere un tema attentamente valutato quando i governi statali e nazionali formulano le proprie politiche di vaccinazione.

Al di là delle convinzioni personali, è quindi evidente che l'informazione chiara e trasparente sulle vaccinazioni sarà per i prossimi anni uno degli elementi primari sui quali puntare per ampliare il dibattito pubblico su questo tema.

Appare sempre più chiaro che per contrastare la comprensibile "paura" di molti genitori verso le tante informazioni poco chiare circolanti sulla rete e in alcuni ambienti contrari "ideologiamente" alla vaccinazione si debba attuare un confronto costruttivo e trasparente, capace di generare una solida fiducia nelle campagne vaccinali.

Allo stesso modo, sarà di fondamentale importanza che istituzioni e organi preposti vigilino con la massima attenzione per fornire dati chiari e affidabili in termini di farmacovigilanza e che l'industria farmaceutica e le istituzioni preposte al controllo garantiscano il più alto livello qualitativo nella produzione e nei controlli dei vaccini per una così ampia fetta di popolazione pediatrica e non.

Fonte: Tradotto dall'inglese da Medscape News&Perspecive

Riferimenti bibliografici: 
Public Health and Economic Consequences of Vaccine Hesitancy for Measles in the United States - Nathan C. Lo; Peter J. Hotez. JAMA Pediatr. 
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Sarà il microbiota intestinale la soluzione a tutti i nostri problemi di salute?

5/7/2017

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Da qualche tempo osservo con interesse e sempre maggiore attenzione lo sviluppo della letteratura scientifica inerente al ruolo del microbiota intestinale in relazione al nostro benessere.
Negli ultimi 2-3 anni il numero di studi scientifici su probiotici e microbiota è cresciuto in modo consistente così come l'attenzione da parte di medici, microbiologi e scienziati su questi argomenti.
Attualmente, in Italia non sono molti i siti o i blog che trattano di questo argomento, anche se da qualche tempo sono apparsi i primi portali specifici sull'argomento come l'interessante Microbioma.it, che raccoglie le ultime novità in tema di pubblicazioni sui microbi del nostro organismo.
Per il resto,  la maggior parte dei riferimenti scientifici in rete è in inglese.

Così, ho pensato di utilizzare il mio blog per riproporre in italiano alcuni degli articoli più interessanti che ho avuto occasione di trovare su altri siti di divulgazione scientifica, in modo di permettere a chi non abbia sufficiente familiarità con l'inglese di approfondire con più facilità questo argomento.

Per questo primo "esperimento" ho scelto un interessante articolo pubblicato su "Gut Microbiota Health" (uno dei siti americani più conosciuti e approfonditi su questo tema) il cui titolo originale è "Will gut microbiota provide the solution to all of our health problems?",  pubblicato on line il 28 giugno 2017 a firma di Patrice D. Cani, ricercatore del Fondo Belga per la Ricerca Scientifica (FRS-FNRS), responsabile del gruppo di ricerca del metabolismo e della nutrizione presso il Drug Research Institute di Lovanio (LDRI) della Università Cattolica di Louvain (UCL), Bruxelles, Belgio, e ricercatore del WELBIO (Wallon Excellence in Lifesciences e biotecnologie).
​
Buona lettura! 


Sarà il microbiota intestinale la soluzione a tutti i nostri problemi di salute?

"Le condizioni che comprendono alcune delle principali cause di mortalità  in tutto il mondo - incluso obesità, diabete, malattie cardiovascolari finanche i tumori- sono collegate con le alterazioni osservabili nel microbiota intestinale umano.
Allo stesso modo, molte altre condizioni croniche, come le malattie infiammatorie intestinali, asma e allergie, artrite reumatoide, e persino l’encefalomielite mialgica (meglio conosciuto come "sindrome da stanchezza cronica"), sono stati collegati con situazioni di disbiosi (disequilibrio) della flora intestinale.

Gli scienziati e l'opinione pubblica hanno dimostrato grande interesse per queste intriganti connessioni. 
Sembra infatti che la flora intestinale, con le sue strette relazioni con i processi metabolici ed il sistema immunitario potrebbe potenzialmente essere il cardine per un buono stato di salute, venendosi a trovare sostanzialmente all'“intersezione” dei vai processi che nel nostro corpo possono influenzare il rischio di malattie.

In realtà, il mio lavoro (è Patrice D. Cani che scrive - ndr) si concentra sulla comprensione di come la flora intestinale influenzi il metabolismo e l'immunità in modo tale da determinare in modo significativamente positivo un ampio ventaglio di parametri basilari per la salute, in particolare nei riguardi di obesità e diabete di tipo 2.

Senza dubbio, il potenziale dell’intervento diretto sul microbiota intestinale per migliorare la salute umana è molto grande, tanto che a questo punto potremmo chiederci: “il microbiota intestinale è destinato ad essere la soluzione a tutti i nostri problemi di salute?"

Nel mio recente commento pubblicato in Nature Reviews Gastroenteroly and Hepatology, ho sollevato la questione su ciò che dovremmo aspettarci per il futuro sul tema scientifico della flora intestinale. Con più di 3000 articoli scientifici sul microbiota pubblicati nel 2016, abbiamo ottenuto una quantità di dati come mai in passato.
Eppure, abbiamo la necessità di essere ancora più sicuri che ci stiamo muovendo nella giusta direzione.

La distinzione tra correlazione e causalità è della massima importanza quando si tratta di flora intestinale. Una volta che una correlazione tra la malattia e la disbiosi intestinale è stata stabilita, i ricercatori hanno bisogno di intraprendere sperimentazioni ben progettate (comprese quelle in modelli animali) per capire “cosa” sta causando “cosa”.
Da quel punto in poi, potremo essere in grado di sviluppare nuove terapie per affrontare la causa principale di una malattia.

Un altro ostacolo per procedere con certezza sono i limitati dati (nonostante l’ampia produzione di letteratura scientifica degli ultimi anni) che attualmente abbiamo a disposizione.
La maggior parte degli studi pubblicati fino ad oggi ha preso in esame un campione del microbiota intestinale in un determinato punto nel tempo.
In pratica è stata fatta una singola “istantanea”. 

Si può dunque facilmente comprendere come una singola “istantanea” non sia sufficiente per determinare come dovremo modificare il microbiota, al fine di migliorare positivamente il nostro stato di salute.
La medicina ha molti esempi che evidenziano come una diagnosi non può spesso essere basata su una “singola” analisi; piuttosto, la corretta raccolta di diverse misurazioni deve essere effettuata nei tempi più corretti e quindi interpretata nel suo insieme. 

Per poter utilizzare il microbiota per migliorare la capacità di diagnosi ed il trattamento delle malattie che conosciamo, ci sarà probabilmente bisogno di prendere in considerazione non solo i microbi intestinali, ma anche gli stessi metaboliti, i fattori genetici, lo stato nutrizionale e le abitudini alimentari del soggetto preso in esame.
Inoltre, abbiamo bisogno di sapere quando e quanto spesso dovremo misurare questi fattori.

Ci stiamo muovendo in avanti passo dopo passo nella comprensione del ruolo del microbiota intestinale in diverse malattie.
Nei futuri decenni, alcune delle correlazioni che vediamo oggi diverranno probabilmente utili per nuove terapie e altre sfortunatamente no.
Il microbiota è costantemente influenzato da molti fattori - di cui, il più  importante e controllabile è l’alimentazione - e nel corso del tempo potremo capire come ottenere un 'ideale' microbiota intestinale e come puntare a renderlo tale agendo sulla dieta e su altri fattori inerenti lo stile di vita o anche somministrando nuovi trattamenti medici che avranno come bersaglio la comunità microbica intestinale.

Quindi, anche se potrebbe essere vero che il microbiota intestinale è al “all'intersezione di tutto”, non possiamo lasciarci andare a facili entusiasmi sulla base dei dati attuali.
Dobbiamo dare a queste complesse interazioni il tempo di essere sviscerate così da poter giungere ad una comprensione più profonda del microbiota intestinale sia in salute che in malattia.


Insomma, c'è molto da scoprire, ma i futuri anni potrebbero aprire a nuove opportunità teraputiche un tempo difficilmente immaginabili.

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